Kurt Browning: il 1986

All’inizio del 1986, per la prima volta, Kurt Browning ha partecipato ai Campionati canadesi senior. Già campione fra i novice nel 1983 e fra gli junior nel 1985, per la prima volta ha affrontato Brian Orser. Non che Orser abbia avuto particolari difficoltà a sconfiggerlo, visto che all’epoca i due pattinatori pur partecipando alla stessa gara erano su livelli completamente diversi. Brian, a quel punto, aveva già conquistato un argento olimpico (1984) e due argenti (1984 e 1985) e un bronzo mondiali (1983), oltre ad essere già stato quattro volte campione canadese. Però per il giovane Kurt la sola presenza di Orser nei paraggi era sufficiente a elettrizzarlo. Era talmente poco abituato a quel genere di palcoscenico da fermarsi ad ammirare l’abbigliamento del tizio che si trovava giusto davanti a lui prima di entrare sulla pista da toccarne una parte per capire se determinati inserti fossero davvero in cuoio come gli sembrava guardandoli. Il tizio in questione – Brian Orser – sentendosi toccare si è voltato per capire chi fosse con un’espressione di divertita incredulità, e tutto quello che lui è riuscito a fare è stato chiedere se fosse vero cuoio. Brian ha risposto di sì ed è sceso in pista, e Kurt si è improvvisamente sentito un bambino inesperto.

Brian Orser

La classifica finale ha registrato un primo posto per Brian Orser. Secondo Neil Paterson, terzo Jaimee Eggleton, quarto Kevin Parker e quinto Kurt Browning. Paterson aveva vinto i Campionati canadesi nella categoria junior nel 1981 ed era stato secondo già l’anno prima, cosa che gli aveva consentito di andare ai Mondiali e di piazzarsi decimo. Eggleton, primo fra gli junior nel 1984 – l’anno in cui Browning aveva mancato la qualificazione perché troppo scosso dall’incidente d’auto di cui era appena stato protagonista – e si era piazzato al 20° posto nelle Olimpiadi di quello stesso anno. Se qualche pagina prima avevo letto un commento di Kurt che mi aveva fatta sorridere perché diceva che il suo obiettivo, per un certo periodo, era stato quello di partecipare alle Olimpiadi del 1984, ora che ho guardato questi risultati scopro che la cosa non era poi così impossibile. Eggleton ha vinto una gara di categoria a cui avrebbe potuto partecipare anche Kurt, anche se è impossibile dire quali fossero le sue probabilità di successo, e poi è stato portato alle Olimpiadi per fare esperienza, preferito a quel Gordon Forbes che ai campionati senior si era piazzato terzo. I primi due canadesi nel 1984, ovviamente, erano stati Brian Orser e Gary Beacom.

Purtroppo non esiste un video dell’esercizio del 1986. A fine gara Kurt, ancora sofferente alla schiena, ha provato l’agopuntura, ma le cose non sono minimamente migliorate. Per forza, quando è tornato a Edmonton e ha finalmente fatto una radiografia ha scoperto di avere una microfrattura alla quarta vertebra lombare che lo ha tenuto lontano dal ghiaccio per i successivi due mesi. In quel periodo ha deciso di abbandonare gli studi per il semplice motivo che la gran parte del suo tempo era assorbita dal pattinaggio e che spesso era costretto a saltare le lezioni perché non era a casa.

I didn’t choose skating; it chose me. Most of my classmates were feeling their way, uncertain where they were going. What I was born to do was right in front of me. (Kurt. Forcing the Edge, pag. 41).

L’ho sempre pensato, Kurt Browning è un uomo nato per pattinare. Al di là degli straordinari risultati sportivi, basta vederlo quando scende sul ghiaccio per non avere dubbi. Poteva nascere negli Stati Uniti, visto che tutti e quattro i suoi nonni sono americani e che i suoi genitori per ben due volte sono stati sul punto di trasferirsi, e chissà se vivendo in circostanze diverse avrebbe mai pattinato. Poteva non nascere, visto che è nato 19 anni dopo il matrimonio dei suoi genitori, quando ormai suo fratello maggiore aveva 11 anni, sua sorella 8 e la mamma, che aveva superato i 40, non pensava di avere altri figli. Poteva dedicarsi all’hockey su ghiaccio, visto che è stata la passione per quello sport a spingerlo a calzare i pattini. Poteva arrendersi, visto che proveniva da un paese tanto piccolo che le difficoltà logistiche da lui affrontate erano enormi. E invece no, lui era nato per pattinare, e per trasmettere emozioni fortissime grazie alle cose incredibili che sa fare sul ghiaccio. Anche ora, che ha 48 anni e si è ritirato dalle competizioni da 20, ma a questo arriverò col tempo.

All’ultima luce del giorno, Kim assistette alla prima battaglia di Aileron dan Ailell in quella guerra, e vide un portento di grazia, una sorta di sorprendente balletto. Vedere Aileron con la spada in mano era uno spettacolo da togliere il fiato. Era più di una danza. Certi uomini, pareva, nascevano per fare una determinata cosa, e Aileron era nato per combattere.

Con sorpresa, comprese che fin dall’inizio c’era un chiaro svantaggio numerico. Da una parte quindici svart con armi e zanne, dall’altra un singolo uomo con la spada. E l’uomo era destinato a vincere, senza sforzo.

Guy Gavriel Kay, La strada dei re, 231.

Chi mi legge nel mio altro blog, librolandia, ormai si è abituato: ogni tanto cambio improvvisamente argomento per seguire il filo dei miei pensieri. Ma quando lo faccio c’è sempre un motivo, e quasi sempre lo spiego. Guy Gavriel Kay è il mio scrittore preferito. È canadese, come Browning, ma questo è un caso. Non scelgo quasi mai chi apprezzare in base alla nazionalità. Ci sono delle tendenze: nel pattinaggio in genere tifo per i canadesi perché sono una tifosa di Browning, ma questo non mi ha impedito negli anni passati di tifare per i finlandesi Susanna Rahkamo e Petri Kokko nella danza, o di tifare ora per la sudcoreana Yuna Kim nell’individuale femminile. Mi limito a loro per non divagare troppo, ma la lista potrebbe essere molto lunga. Se però non c’è nessuno che mi piace davvero, allora tifo per i canadesi, e comunque tifo per loro in subordine all’atleta che preferisco. Nella ginnastica artistica tifo per le romene per via di Daniela Silivas, ma anche qui potrei fare molti nomi di atleti aventi una diversa nazionalità. In tutti gli altri sport tifo per gli svedesi per via del tennista Stefan Edberg. Va bene, Stefan ha avuto un effetto più forte, anche perché è stato quello che la televisione ha trasmesso di più. E che Kay sia un appassionato di pattinaggio – o che quanto meno lo abbia seguito alle ultime Olimpiadi – lo so dai suoi commenti su twitter.

Per la verità immaginavo che il pattinaggio gli potesse piacere per via dei suoi libri. Quante volte sono importanti la danza, la musica e l’armonia nei suoi romanzi? Kay scrive fantasy, e La strada dei re è il primo romanzo di una trilogia fantasy. Ma il fantasy, soprattutto per come lo scrive lui, è uno specchio della nostra realtà. Shirin di Sailing to Sarantium è una danzatrice. Wen Jian, la concubina favorita dell’imperatore Taizu nella Rinascita di Shen Tai, ha conquistato la sua attenzione in primo luogo con le proprie doti da danzatrice, anche se poi dimostra di avere un cervello di prim’ordine. Io leggo fantasy, ma La rinascita di Shen Tai ha pochi elementi fantastici, al di là del fatto che è ambientato in una terra che somiglia alla Cina ma che si chiama Kitai. Uno specchio della nostra realtà, che non riflette perfettamente gli avvenimenti storici, lasciando allo scrittore lo spazio per la propria libertà creativa, ma che riflette con lucidità straordinaria i rapporti umani e che arriva a essere struggente in più di un momento. Anche se non leggete abitualmente fantasy leggete questo romanzo, vi stupirà. Niente elfi, nani o draghi nelle sue pagine, solo esseri umani che amano e odiano, sperano e temono e che non sempre ottengono ciò che vorrebbero o ciò che noi ci aspetteremmo.

Sono passata all’unico romanzo attualmente in commercio in Italia di Kay, ma ero partita dalla Strada dei re e da quell’immagine di un uomo nato per combattere. Quando penso che una persona è destinata a fare qualcosa a me viene in mente quella scena. Tolta dal contesto, privata della forza delle immagini precedenti, delle parole precedenti, quella scena è molto meno forte. Forse io amo così tanto le parole di Kay perché conosco il contesto a cui appartengono, e mi sarebbe piaciuto saper scrivere allo stesso modo. Un sogno impossibile, lo so. Perciò mi appoggio a lui.

Un esercizio di Kurt Browning è un portento di grazia, una sorta di sorprendente balletto. Vederlo con i pattini ai piedi è uno spettacolo da togliere il fiato. È più di una danza. Certi uomini nascono per fare una determinata cosa, e Kurt è nato per pattinare.

Le parole, modificate così, non sono altrettanto belle, ma la realtà è questa. C’è un’altra frase che mi torna in mente e che ho già citato, ma in questo caso non la condivido.

Negli sport maschili non si parla mai di bellezza, di grazia, del corpo.

David Foster Wallace, Il tennis come esperienza religiosa, pag. 47.

Evidentemente Foster Wallace non ha mai guardato il pattinaggio artistico. C’è potenza, e tanta, basta solo pensare a quanta energia è necessaria a fare una combinazione di due salti tripli, o a fare un salto quadruplo. Entrambe cose che Kurt ha fatto nella sua carriera, e che fanno i pattinatori di vertice. Ma la bellezza di quel che fanno è fondamentale. Se i loro gesti non fossero belli, gli esercizi potrebbero stupire per le incredibili qualità atletiche ma non saprebbero trasmettere altre emozioni.

Se nel 1983 Kurt, che non aveva le idee chiarissime, pensava che si stesse preparando per le Olimpiadi del 1984, nel 1986 pensava che, se si fosse applicato abbastanza, sarebbe anche potuto diventare il campione canadese dopo il ritiro di Brian Orser. Cosa che poi si è puntualmente verificata, ma viste le altre cose che ha fatto i campionati canadesi sembrano quasi un dettaglio marginale. Comunque prima del titolo c’era un altro obiettivo: piazzarsi sul podio ai campionati Nazionali per poter andare ai Mondiali del 1987. Nell’agosto del 1986 è ritornato a St. Gervais e ha bissato il secondo posto dell’anno prima, atterrando per la prima volta in una gara un triplo Lutz e un triplo flip nello stesso programma. La gara è stata vinta dall’americano Erik Larson, mentre al terzo posto si è piazzato il francese Frederick Harpages. Proprio quell’anno Larson aveva vinto i Campionati del Mondo nella categoria junior, ma visto che ai Campionati degli Stati Uniti non ha mai fatto meglio di una quarta posizione non è mai andato ai Mondiali senior.

Qualche giorno dopo a Obestdorf, complice anche una caduta, si è piazzato terzo alle spalle del sovietico Vitalij Egorov e di Erik Larson. Egorov, già campione del Mondo junior nel 1979, ha concluso la sua carriera proprio quell’anno. Nel galà Kurt, che già atterrava salti quadrupli in allenamento con una certa frequenza, ha provato per la prima volta in pubblico un quadruplo toe-loop. Dire che non gli è riuscito sarebbe riduttivo. Per usare le sue parole, è stato un disastro, con l’atterraggio che è venuto ben diverso da quello corretto. Il resto del programma, coreografato da Sandra Bezic – e ritroveremo ancora questo nome – è andato bene.

L’impegno successivo è stato l’NHK in Giappone, durante il mese di novembre. Anche se non c’erano premi in denaro, Kurt ricorda che è importante fare una buona impressione ai giudici, farsi ricordare e dare l’impressione di migliorare costantemente, gara dopo gara. Infatti…

Ormai il giovane si sentiva un viaggiatore esperto, ma gli spazi sconfinati del Canada sono ben diversi dalla realtà claustrofobica del Giappone perciò, per usare un’espressione riduttiva, potremmo dire che si sentiva spaesato. Un’importante esperienza comunque è stata quella di non dare mai nulla per scontato. Alexandr Fadeev, il Campione del Mondo in carica, sembrava in forma, perciò era convinto di non poterlo assolutamente superare. Fadeev però è riuscito a sbagliare ben due elementi del suo programma tecnico, si è piazzato ultimo e si è ritirato dalla gara. In compenso Angelo D’agostino non gli ha fatto una particolare impressione durante gli allenamenti, perciò era convinto di poterlo battere. La gara è stata vinta proprio da D’Agostino con un esercizio notevole. Se non altro la lezione l’ha imparata abbastanza presto e in una gara dall’importanza relativa: prima di gareggiare partono tutti dallo stesso livello, e tutti sono pericolosi e meritano rispetto. Questa la classifica finale, con relativi piazzamenti nelle tre fasi di gara:

Rank

Name

Nation

Figure

Short program

Freee skate

1

Angelo D’Agostino

 United States

2.4

1

2

2

Makoto Kano

 Japan

2.6

4

1

3

Philippe Roncoli

 France

5.0

5

3

4

Masaru Ogawa

 Japan

5.2

3

4

5

Shubin Zhang

 China

7.4

6

5

6

Scott Williams

 United States

7.8

2

7

7

Kurt Browning

 Canada

9.2

8

6

8

Tatsuya Fujii

 Japan

10.8

7

8

WD

Alexander Fadeev

 Soviet Union

9

La tabella proviene dalla versione inglese di Wikipedia, ho lasciato il link alle biografie dei singoli pattinatori nel caso in cui qualcuno fosse interessato a consultarle. Se Kurt voleva fare una buona impressione, con questa gara non ha raggiunto il suo obiettivo. Però stava maturando esperienza, cosa che in futuro gli avrebbe fatto un gran bene.

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