Su Yuzuru Hanyu e Seimei

Piccola parentesi contemporanea in quello che conto sia un viaggio cronologico lungo tutta la carriera di Yuzuru Hanyu. Mi sono imbattuta in un commento abbastanza preoccupante:

https://twitter.com/lisainhouston/status/1113177279641915392

what #JoeInmann said: It was historically quite some thing to win the gold medal with #SEIMEI. To the Americans and other foreigners the music sounded flat and the interpretation made no sense to us.

 

Il signor Joe Inmann è un giudice internazionale tesserato per la federazione americana. È libero di avere la sua opinione, purché quest’opinione non diventi un pregiudizio quando si tratta di valutare obiettivamente ciò che è stato fatto in pista. Ma… Seimei musica piatta? Interpretazione che, per gli statunitensi e gli altri stranieri, non ha senso? Ok, vediamo cos’è Seimei per me.

Ho iniziato a seguire il pattinaggio artistico nel 1989. La prima cosa che ricordo è il triplo Axel di Midori Ito ai Campionati del Mondo. Non avevo idea, all’epoca, di cosa fosse un triplo Axel, ho visto il programma per caso e sono stata catturata dall’eccitazione della commentatrice per quel che era appena stato eseguito in pista e dall’evidente gioia provata dalla pattinatrice nell’eseguire il suo programma. Non sapevo nulla della disciplina, ma quel poco che avevo visto mi era piaciuto molto e così il giorno dopo ho guardato il gala. Sono rimasta incantata. Quel giorno sono diventata un’appassionata di pattinaggio, e ho donato il mio cuore a Kurt Browning. Nel corso degli anni ho amato – e amo tutt’ora, anche se si sono ritirati – molti pattinatori appartenenti a tutte e quattro le discipline, ma nessuno ha mai preso il posto di Kurt.

Il mio primo vago ricordo di Hanyu risale alla finale di Grand Prix del 2013. In quegli anni, per via di figlie piccole che sabotavano e un marito che ancora adesso non ha capito che i programmi di pattinaggio vanno seguiti dall’inizio alla fine e non un po’ sì e un po’ no se si vuole apprezzare l’interpretazione artistica, riuscivo a guardare ben poco. Dire che ho guardato quella finale di Grand Prix è eccessivo, diciamo che ho visto qualche frammento e ho scoperto che c’era un giovane giapponese molto forte che avrebbe lottato per l’oro con un canadese, favorito d’obbligo perché aveva vinto gli ultimi tre campionati del mondo. Alle Olimpiadi di Sochi il mio tifo era tutto per Kim Yuna nella gara femminile e per Tessa Virtue e Scott Moir in quella di danza. Mi sono divertita nella danza, la gara è stata stupenda anche se avrei preferito un risultato diverso, avrei invece qualcosa da ridire sulla gara femminile, ma lasciamo stare. Nelle altre discipline non tifavo davvero, speravo solo di vedere dei bei programmi. La mia aspettativa era ugualmente divisa fra Yuzuru Hanyu, Patrick Chan – lieve simpatia per lui perché è canadese: a causa di Browning nel pattinaggio quando non tifo per un atleta in particolare tendo a tifare per i canadesi – Javier Fernandez e Daisuke Takahashi. Perché Javi e Daisuke? Perché loro, non so quando, li avevo visti e mi erano piaciuti. E poi Javi è spagnolo, e quando un atleta riesce a diventare forte in una disciplina che nel suo paese non ha tradizione ha tutta la mia simpatia. Non ho visto il programma corto, mentre ho guardato un diretta il programma libero, in cui tutti hanno fatto pasticci. Non il programma migliore per rimanere affascinati da qualcuno, anche perché con il costume indossato da Yuzuru per Romeo e Giulietta io continuo a non andare d’accordo, anche a distanza di anni. Ho preso atto del risultato. Fine.

Poi c’è stato Seimei.

Lo so, di mezzo c’è stata un’altra stagione, ma per motivi personali l’ho seguita in modo un po’ distratto e quindi senza tifare davvero.

Premessa necessaria per tutti coloro che, come Inmann, vedono solo ciò che i loro paraocchi gli consentono di vedere. Non sono giapponese. Sono italiana, tornando indietro nel mio albero genealogico al massimo salta fuori una bisnonna nata a Boston ma di origini genovesi. Io e il Giappone non ci conosciamo. Sì, avevo tifato per Midori Ito – anche se le preferivo Kristi Yamaguchi, ma non è mai stato un problema tifare per due atleti diversi nella stessa gara, e sperare di vedere belle prestazioni anche da parte degli altri atleti – e per Daisuke Takahashi, ma del Giappone conoscevo solo quel che era possibile vedere in qualche anime. Anni fa, dopo aver fatto una lezione di karate a un camp multisport, ho fatto un breve corso di goshin, ma più con l’idea che imparare un po’ di difesa personale non faccia male che per qualsiasi altro motivo (e ormai ho dimenticato tutto). Quanto ai libri, anche se io non sto mai troppo lontana da loro, avevo letto ben poco, Lo zen e il tiro con l’arco di Eugen Herrigel, di cui non ricordo nulla, Shogun di James Clavell, Cacciatori di sogni di Neil Gaiman e forse qualcos’altro, certo non molto. Con un background così, quante probabilità c’erano che un esercizio pattinato su musiche giapponesi potesse non solo piacermi, ma toccarmi nel profondo?

 

Novembre 2015, NHK Trophy. Nello short program Hanyu aveva già stabilito il record del Mondo con un programma bellissimo, Chopin Ballade N. 1, Lo avevo amato, certo, se non si è prevenuti è impossibile non amare la perfezione. In quel momento Hanyu, campione olimpico in carica ma solo vicecampione modiale, era al vertice della disciplina. Era presumibilmente il più forte, ma nonostante quel programma corto – aveva già stabilito in precedenza quattro record del mondo nel corto, quindi per lui non era una novità presentare un programma straordinario – non c’era la percezione che fosse nettamente il più forte. Poteva perdere e aveva perso, anche nel recente passato. Potrà perdere anche in futuro, ma nessuna sconfitta potrà mai cambiare tutto ciò che Hanyu ha fatto nella sua vita sulle piste di pattinaggio.

Ci sarà un momento in cui si ritirerà, spero per scelta sua, perché si sente appagato e felice, e non perché il fisico non regge più. Ma Seimei è il pattinaggio. Con quel programma ho scoperto che era possibile amare qualcuno più di Kurt Browning. In quattro minuti e mezzo Hanyu mi ha catturata completamente. Non è diminuito il mio amore per il pattinatore canadese, ho solo trovato una passione più forte dentro di me, cosa che in precedenza non avrei creduto possibile. Io seguo diversi sport, e anche se mi è capitato di tifare per atleti italiani ho tifato molto più spesso per atleti stranieri. Ciò che è importante è quello che sanno fare, nel caso del pattinaggio quello che sanno trasmettere, non quello che c’è scritto sul loro passaporto. Lo sport, se glie lo si lascia fare, unisce i popoli. Un paio di settimane fa ho iniziato per la prima volta a leggere un libro sulla cultura giapponese. Lo sto facendo perché un atleta proveniente da un mondo lontanissimo dal mio è riuscito a raggiungermi con forza e a farmi desiderare di avvicinarmi a qualcosa che prima non conoscevo. Seimei non ha senso per chi non è giapponese? No, Seimei non ha senso per chi è prevenuto, e Hanyu ha compiuto un’impresa straordinaria non perché ha vinto le Olimpiadi con un programma in qualche modo incompleto ma perché lo ha fatto ritornando da un infortunio gravissimo, che avrebbe stroncato chiunque altro, non dei tutto guarito e combattendo contro pregiudizi che nel pattinaggio artistico sono ancora troppo forti. Basta ascoltare quello che dice il commentatore britannico per vedere quanto anche lui sia stato coinvolto dal programma. Basta ascoltare i commentatori canadesi – lui è tal Kurt Browning – o i commentatori della NBC.

Mi spiace non poter vedere il film Onmyōji, sono curiosa ma non ne esiste un’edizione italiana. Seimei. Musica meravigliosa di Shigeru Umebayashi, le cui battute musicali sono perfettamente sottolineate dai gesti compiuti dall’atleta. Coreografia di Shae-Lynn Bourne, danzatrice che a suo tempo ho amato e che, insieme al suo partner Victor Kraatz, ha vinto troppo poco rispetto a quel che il suo talento avrebbe meritato. Una sequenza coreografica finale che mi fa venire ogni volta la pelle d’oca, e non ho idea di quante volte io abbia guardato questo programma.

Alle Olimpiadi Hanyu non è stato perfetto. Avrebbe voluto presentare salti più difficili, più quadrupli, di quattro tipi diversi, ma l’infortunio glie l’ha impedito. Il fatto che sia comunque riuscito a presentare questo programma con quattro quadrupli – sul secondo toe loop uno step out gli ha impedito di attaccare la combinazione e ha inevitabilmente abbassato il punteggio – e un triplo Axel con una combinazione improvvisata in corsa per recuperare all’errore e GOE +2,14 hanno del sovrumano.

 

In un’occasione, con Hope and Legacy, ha ottenuto un punteggio più alto. In quel momento era fisicamente a posto, cosa che non gli capita troppo spesso, e ha eseguito quello che tecnicamente è il miglior programma della sua carriera e che a livello interpretativo è superiore a ciò che tutti i suoi rivali sono in grado di proporre. Uno dei tanti episodi che affermano chiaramente che Hanyu è il miglior pattinatore di sempre. Ma, anche se il record appartiene a Hope and Legacy, e anche se all’ultimo mondiale abbiamo visto qualche punteggio assurdo, Seimei è il pattinaggio, indipendentemente da quanto persone con la mente piccola possano pensare.

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