La ricerca di un campione: il pattinaggio statunitense

Nel 2010 i pattinatori statunitensi hanno vinto due medaglie olimpiche, un oro grazie a Evan Lysacek e un argento grazie a Meryl Davis/Charlie White, ma nella disciplina più seguita, quella femminile, sono arrivati il quarto posto di Mirai Nagasu e il settimo di Rachel Flatt. E dopo? Il nulla.

Il pattinaggio artistico è nato un Europa, ma dopo la Seconda guerra mondiale sono stati gli Stati Uniti a dominare la disciplina. Questi sono i medagliati statunitensi nelle competizioni più importanti, Campionati del mondo e Giochi olimpici.

A sinistra ho indicato i pattinatori che sono saliti sul podio al Campionato del mondo, uomini, donne, coppie di artistico, coppie di danza. A destra ho indicato coloro che sono saliti sul podio ai Giochi olimpici. Le fasce grigie indicano le occasioni in cui le competizioni non sono state disputate per una delle due guerre mondiali, perché non era un anno olimpico, perché la danza su ghiaccio non era ancora una disciplina mondiale o olimpica, per lo schianto del Sabena Flight 548, e quest’anno, sappiamo bene perché. Mi spiace che i nomi delle coppie a volte finiscano tagliati, ma non potevo allargare le colonne senza ritrovarmi a dover raddoppiare gli screenshot. Ho colorato i nomi a seconda del colore delle medaglie, in modo che anche il colpo d’occhio possa parlare da solo, ma vediamo meglio chi ha vinto le medaglie e quando.

Prima della Prima Guerra Mondiale nessun pattinatore statunitense ha partecipato a un Campionato del mondo o ai Giochi olimpici. Le partecipazioni sono iniziate nel 1924, ma la disciplina era prevalentemente eurocentrica, anche perché le competizioni si svolgevano per lo più in Europa e viaggiare era un po’ più complicato e costoso rispetto a ora. Dopo la Seconda guerra mondiale però gli statunitensi, e in misura minore i canadesi, hanno iniziato a dominare. Il bilancio nelle competizioni di coppia è notevole, nell’artistico solo nel secolo scorso, nella danza soprattutto in questo. Però sono le competizioni individuali quelle che colpiscono l’immaginario americano, che ha il mito dell’uomo che si è fatto da solo, superando tutte le avversità, o che è affascinato dalle principesse (il che significa che, anche prima della famosa aggressione, la principessa Nancy Kerrigan era più amata della maschiaccia Tonya Harding). Siccome questi risultati sono quelli che interessano di più anche a me – non nel senso che reputi una gara più importante dell’altra, il mio interesse è sempre stato legato a chi vi partecipava perciò, per esempio, una gara di danza con Tessa Virtue/Scott Moir fra i partecipanti, fosse anche solo il campionato nazionale canadese, era più interessante della gara maschile al Campionato del mondo 2018, ma per il discorso che sto facendo – ripropongo solo le medaglie vinte dai pattinatori statunitensi nelle competizioni individuali nel dopoguerra.

Ho lasciato di proposito un po’ di bordo per farvi vedere che i dati che pubblico sono molti meno di quelli che elaboro. Posso sbagliare, ma prima di scrivere qualcosa faccio davvero tanti controlli. Ho imparato anche a conservare tutto, non si sa mai quando una determinata informazione può tornare utile.

Accanto ai risultati ho fatto un riassunto per avere un colpo d’occhio migliore. Nelle colonne CQ-CS ho indicato quante e quali medaglie hanno vinto i pattinatori statunitensi al Campionato del mondo, le colonne CU-CW si riferiscono ai Giochi olimpici, le colonne CY-DA indicano la somma delle medaglie vinte nelle due competizioni. Guardiamo i risultati. Nella gara femminile in 13 delle 14 edizioni del Campionato del mondo disputate dopo la guerra almeno una pattinatrice statunitense è salita sul podio per un totale di sette ori, cinque argenti e cinque bronzi. Poi, con la morte della squadra americana, c’è stato un periodo di crisi perché gli atleti al picco della loro condizione non c’erano più e quelli giovani dovevano crescere, quindi, fra il 1965 e il 2006, un dominio impressionante. In 39 campionati del mondo su 42 almeno una pattinatrice statunitense è salita sul podio. In dieci occasioni le medaglie sono state due, in una l’intero podio è stato occupato da pattinatrici statunitensi. In totale sono 19 ori, 14 argenti e 16 bronzi, un totale di 49 medaglie vinte su 126 disponibili, più di un terzo. A salire sul podio sono state Peggy Fleming, Julie Lynn Holmes, Janet Lynn, Dorothy Hamill, Linda Fratianne, Elaine Zayak, Rosalynn Sumners, Tiffany Chin, Debi Thomas, Caryn Cadavy, Jill Trenary, Holly Cook, Kristi Yamaguchi, Tonya Harding, Nancy Kerrigan, Nicole Bobek, Michelle Kwan, Tara Lipinski, Sarah Hughes, Sasha Cohen e Kimmie Meissner, 21 pattinatrici diverse.

In campo maschile i numeri sono lievemente inferiori, fra il 1965 e il 2009, quindi in 45 edizioni del Campionato del mondo, i pattinatori statunitensi sono saliti sul podio “solo” 32 volte, con anche un periodo di sette anni, fra il 1971 e il 1977, in cui non è arrivata nessuna medaglia. Gli ori sono stati 11, a cui si aggiungono 10 argenti e 13 bronzi, per un totale di 34 medaglie su 135 disponibili, praticamente un quarto del totale. Il numero sembra basso solo se confrontato ai successi della squadra femminile (o al periodo compreso fra il 1947 e il 1959, con Dick Button e i fratelli Jenkins, Hayes Alan e David, che hanno vinto tutto il possibile, lasciando agli altri atleti statunitensi le posizioni di rincalzo e al resto del mondo le briciole). Ad andare sul podio sono stati Scott Allen, Gary Visconti, Tim Wood, Charles Tickner, Scott Hamilton, David Santee, Brian Boitano, Christopher Bowman, Todd Eldredge, Rudy Galindo, Michael Weiss, Timothy Goebel, Evan Lysacek e Johnny Weir, 14 pattinatori diversi.

Guardiamo i Giochi olimpici. In questo caso allargo lo sguardo partendo dal 1952. Fino al 2006 le pattinatrici statunitensi hanno vinto almeno una medaglia in 14 delle 15 edizioni dei Giochi, solo nel 1964, a tre anni di distanza dalla morte dei loro atleti più forti, non hanno vinto nulla. Sono 7 ori, 7 argenti e 5 bronzi, un totale di 19 medaglie, vinte da quindici pattinatrici diverse, oltre a quelle che ho già citato ci sono Tenley Albright, Carol Heiss e Barbara Ann Roles, che erano salite sul podio mondiale prima del 1961. Fra il 1948 e il 2010, quindi sono due edizioni dei Giochi in più, i pattinatori statunitensi hanno vinto 15 medaglie, 7 ori, 3 argenti e 5 bronzi, monopolizzando il podio del 1956. Oltre ai pattinatori che ho già citato ci sono James Grogan, Ronnie Robertson e Paul Wylie. Gli Stati Uniti hanno vinto più di tutti gli altri, hanno dominato la disciplina per decenni, e poi sono spariti. Non è che non ci siano più pattinatori statunitensi, semplicemente hanno smesso di vincere.

Dopo il 2006 e fino al 2017, sono 11 stagioni, in campo femminile per gli Stati Uniti è arrivata un’unica medaglia, l’argento conquistato da Ashley Wagner nel Mondiale di casa del 2016, a Boston, e nessuna medaglia olimpica. Non che nelle ultime stagioni le pattinatrici statunitensi abbiano vinto medaglie, ma c’è un motivo perché mi sono fermata al 2017, nell’ultima stagione prima dei Giochi del 2018. Fra il 2011 e il 2017, sono sette stagioni, in campo maschile gli Stati Uniti non hanno vinto nessuna medaglia. Un’astinenza da podio così lunga c’era stata solo nei primi anni ’70. Bisognava rimediare, ma come? Ora lascio da parte le pattinatrici, negli Stati Uniti la gara più importante è quella femminile, ma le pattinatrici russe erano chiaramente molto più forti di quelle statunitensi, e può andare bene pure quella maschile se c’è un macho per cui tifare. Non è uno sbaglio, ho scritto deliberatamente macho, perché se la donna dev’essere aggraziata, l’uomo dev’essere virile, almeno secondo la concezione occidentale. Se volete saperne di più potete leggere Artistic Impressions di Mary Louise Adams, ma in tutti i testi, in un modo o nell’altro, l’argomento torna fuori.

Con la paura che il pattinaggio fosse etichettato come disciplina femminile o per omosessuali, allontanando così possibili spettatori ma anche possibili atleti, i media occidentali hanno sempre posto l’accento sull’aspetto atletico delle gare maschili. Che poi ci siano stati pattinatori omosessuali straordinari è un dettaglio, così come è un dettaglio che la loro sessulità rientri fra le questioni private. I pregiudizi sono talmente forti che, a parte Rudi Galindo e Adam Rippon, forse pure Johnny Weir, credo che gli altri che hanno dichiarato la loro omosessualità lo abbiano fatto solo dopo il ritiro. L’accento quindi è posto sulla difficoltà dei salti, sul numero di rotazioni, non sull’aspetto estetico. Delle trottole si parla molto meno, e un programma sembra convincente, agli occhi di molti, se il pattinatore salta tanto e resta in piedi, anche se tutto quello che fa fra un salto e l’altro è prendere la rincorsa. Sto esagerando? Quella che vi ripropongo è una dichiarazione di Rudi Galindo pubblicata da Christine Brennan in Inside Edge. A Revealing Journey Into the Secret World of Figure Skating. Il libro è del 1996.

Per contestualizzare un attimo, nel 1988 Galindo ha vinto il Campionato del mondo junior nelle coppie di artistico insieme a Kristi Yamaguchi, nel 1989 e nel 1990 la coppia ha vinto il campionato nazionale senior e si è classificata quinta al Campionato del mondo. A quel punto Yamaguchi ha deciso di concentrarsi sulla competizione individuale costringendo Galindo, rimasto senza una partner del suo livello, a fare altrettanto. Non è che nell’individuale Galindo fosse scarso, fra il 1985 e il 1987 ha vinto il bronzo, l’argento e quindi l’oro al Campionato del mondo junior, ma fra i senior ha faticato tantissimo. Di fatto è salito sul podio del campionato nazionale una sola volta, nella sua ultima stagione, la 1995-1996, con un meritatissimo oro, e a chiudere la carriera con il bronzo nella sua unica partecipazione mondiale. Quando ha parlato con Brennan, però, nessuno sapeva cosa sarebbe accaduto di lì a poco (in prestazioni nelle quali non ha avuto problemi con i salti), e nel suo palmares c’erano un quinto, un settimo, tre ottavi e un decimo posto al campionato nazionale:

He says his balletic moves, spins, and artistry just aren’t appreciated by American judges.

“When you get to Nationals, these guys skate clean, they’re really butch when they skate, they’re just jump-jump-jump,” he said “Our American judges like that. They want just conservative, just really macho men. I think the other guys are going to have to fall like twenty times and I have to go clean before they put me in that third spot.” (Brennan, pag. 68)

Jump-jump-jump? Chissà perché mi sembra una cosa familiare. Il libro, ripeto, è del 1996, e chi si lamentava era uno statunitense che trovava limitante l’unico criterio di giudizio che dominava nel suo paese. Quando è riuscito ad adeguarsi trovando finalmente la consistenza sui salti Galindo ha vinto. A livello internazionale di medaglie per i pattinatori statunitensi ne sono arrivate ancora un po’ grazie a Todd Eldredge, Michael Weiss, Timothy Goebel ed Evan Lysacek. Chi c’è stato negli Stati Uniti dopo gli anni di gloria? Guardo un periodo di dieci anni dopo i Giochi olimpici di Torino, stagione in cui sono arrivati un argento olimpico (Sasha Cohen) e un oro (Kimmie Meissner) e due bronzi (ancora Cohen, ed Evan Lysacek) mondiali.

Tre medaglie mondiali, una per colore, un oro olimpico. E poi sette quarti posti e un bel po’ di piazzamenti più bassi, a volte anche così bassi da far perdere alla nazione il diritto di mandare tre atleti alla gara dell’anno successivo. Fra le donne c’è stato un isolato argento di Ashley Wagner, ma gli statunitensi stanno sperando nella crescita di Alysa Liu per tonare a lottare per le medaglie che contano. Il recente oro di Mariah Bell a Skate America non conta nulla, erano tutte statunitensi, era ovvio che avrebbe vinto una statunitense. L’unico dubbio era se il successo sarebbe andato a lei o a Bradie Tennell.

Fra gli uomini qualche atleta è stato anche in grado di catalizzare l’attenzione degli appassionati, per esempio il libero di Jason Brown al campionato nazionale dei 2014, sulle musiche di Riverdance, è diventato virale, ed è stato il motivo per cui anch’io l’ho visto anche se in quel periodo faticavo molto a guardare una gara di pattinaggio. Per quanto bello da guardare, però, Jason Brown non ha i quadrupli, e negli ultimi anni in campo maschile è diventato impossibile vincere una medaglia se non si hanno i quadrupli. Quanto è grave una situazione di questo tipo? Le prime informazioni ce le fornisce Ellyn Kestnbaum in Culture on Ice. Figure Skating & Cultural Meaning, testo del 2003, quindi forzatamente legato agli anni ’90 e all’inizio del nostro millennio.

L’attenzione di tutti, ai Giochi olimpici del 1994, era sul confronto fra Nancy Kerrigan e Tonya Harding, ma quella è stata solo la gara più chiacchierata, non l’unica. Fra gli uomini le attenzioni erano sul canadese Kurt Browning, campione del mondo in carica, sullo statunitense Brian Boitano e sull’ucraino Viktor Petrenko, gli ultimi due tornati alle gare dopo un periodo di professionismo e vincitori degli ultimi due ori olimpici. Erano stati loro tre a vincere gli ultimi sei ori mondiali, insieme a tre argenti e un bronzo, lasciando a tutti gli altri tre argenti e cinque bronzi. Due nordamericani e un ucraino che, dopo l’oro olimpico, si era trasferito a Las Vegas e aveva partecipato ai tour di esibizione negli Stati Uniti. E poi c’erano i giovani promettenti, il canadese Elvis Stojko, argento all’ultimo Campionato del mondo, e lo statunitense Scott Davis, che al Campionato del mondo del 1993 si era classificato sesto (solo a posteriori possiamo dire che quello sarebbe rimasto il suo miglior piazzamento in quattro partecipazioni fra Campionato del mondo e Giochi olimpici).

CBS, for instance, touted these five skaters, four of them North American, as the “gold medal favorites” with no mention of the younger Europeans such as Urmanov and Candeloro whose International credentials outweighed Davis’s. (pag. 198)

Davis aveva vinto per la seconda volta il campionato americano, nell’ultima occasione battendo Boitano, ma erano solo gli statunitensi ad avere aspettative su di lui. Urmanov aveva completato per la prima volta un salto quadruplo al Campionato europeo del 1991 (e nessuno statunitense aveva ancora mai eseguito un quadruplo) e si è presentato ai Giochi olimpici dopo aver vinto il bronzo all’ultimo Campionato del mondo e, per la seconda volta, all’ultimo Campionato europeo. Che la stampa statunitense abbia potuto ignorarlo dimostra una notevole miopia. Candeloro all’ultimo Campionato del mondo si era classificato quinto – quindi non sul podio ma comunque aveva fatto meglio di Davis – e nel 1993 aveva vinto l’argento europeo. Era considerato meno forte rispetto agli altri, ma aveva fatto parlare molto di sé anche per via di alcuni movimenti molto particolari presenti nei suoi programmi, era difficile ignorarlo.

Petrenko, Browning e Boitano si sono tolti dal discorso medaglie olimpiche da soli sbagliando il programma corto.

with Urmanov winning both programs in contested victories over Stojko and Candeloro taking home the bronze medal, the media narrative became instead one of the proper direction that men’s figure skating should  take to capitalize on skating’s burgeoning popularity in the North American market.

In a post-prime time interview with Stojko, Pat O’Brien (CBS’s general sports anchor) remarked that “perhaps… figure skating is sending the wrong message, period. Because, here you are-you’re a great guy, outspoken, your name is Elvis, and you’re marketable and all that sort of thing. And Urmanov is a nice guy, I suppose, but he’s going to go back to Russia and we wont’see him until maybee the Nationals. You’re here and you could promote figure skating… (pag. 198).

Urmanov sarà anche un bravo ragazzo, ma vince e torna in Russia, quindi chi lo vede più? Quell’altro rimane qui a promuovere il pattinaggio, ha persino un nome da star, con lui ci sono da fare un mucchio di soldi… Come si è permesso il russo di vincere l’oro olimpico? Questo è quanto emerge da un libro del 2003 su una gara del 1994. La televisione americana non ha affatto gradito il successo del russo. Quanto può gradire ora un atleta asiatico che i suoi show li fa in Asia?

Spostiamoci un po’ nel tempo, al quadriennio che ha preceduto i Giochi olimpici di Torino. La televisione, dopo aver trasmesso di tutto negli anni ’90, è arrivata a un punto di saturazione, e nel 2002 lo scandalo di Salt Lake City ha fatto perdere credibilità allo sport. Uno sport in crisi di spettatori, quanto meno negli Stati Uniti, e che aveva bisogno di una vincitrice statunitense. Lo scandalo c’era già stato, il 17 febbraio è stato assegnato un secondo oro a Salé/Pelletier, il libero femminile è stato disputato il 21. Fra queste due date (anche se è stata pubblicata dopo) si situa un’intervista fatta da King Kaufman a Rudi Galindo. E Galindo, rispondendo alla domanda su chi avrebbe vinto la gara femminile, dice una cosa molto preoccupante:

I don’t know. But I’m just going to go with Michelle [Kwan]. I’ll say that. Just because she might have the spirit of being in North America, in Utah, and I think it’s time for her to win. I think the ISU [International Skating Union], too, they understand that we need an American woman to win the Olympic gold, to help out with the ticket sales and the popularity of skating.

Perciò secondo lui l’ISU sa che, per vendere biglietti e aumentare la popolarità della disciplina, la federazione americana ha bisogno di una vincitrice americana. Nel dubbio che l’articolo possa sparire, come troppo spesso avviene, riporto lo screenshot:

Galindo 2

Kwan ha commesso diversi errori ed è scivolata al terzo posto, ma la gara, caratterizzata da alcune polemiche, è stata comunque vinta da una pattinatrice americana, Sarah Hughes. Peccato che Hughes non abbia partecipato al successivo Campionato del mondo, che abbia disertato quasi completamente la successiva stagione e abbia concluso la carriera con il sesto posto al Campionato del mondo 2003. Hughes è stata una delle pattinatrici più forti per due sole stagioni, la 2000-2001 (bronzo al Campionato del mondo e alla finale di Grand Prix) e la 2001-2002 (oro olimpico, bronzo alla finale di Grand Prix), e non ha mai vinto il campionato nazionale senior. Troppo poco per farla davvero amare dal pubblico e monetizzare il suo successo.

Del problema economico, sotto forma di audience televisiva, parla Kelli Lawrence in Skating on Air:

When ESPN broadcast the 2005 Worlds as it had broadcast the Grand Prix Series—on cable only, without any “ESPN on ABC”—network executives were stunned by the abysmal ratings. Though the numbers had been sliding for years, the 5.2 and 5.4 earned by ABC back in 2003 and 2004 looked downright magnificent compared to the 1.24 ESPN got for the same event in 2005. Though they knew better than to think they’d ever come close to what ABC got with an “over-the-air” telecast, they’d hoped for about twice what they did get.

Non si tratta solo delle gare internazionali.

Meanwhile, ratings for U.S. Nationals—which continued to air on both ESPN and ABC through 2007—had been on a downhill slide for a decade. The numbers tell the story: what was a 7.2 rating in 1997 was a 4.9 by 2005. And even the luster of an Olympic year didn’t seem to carry the same weight of yesteryear: in 1998, prime time Nationals got an 11.5 rating; in 2006, it was just a 4.7.

Il problema non è piccolo.

people must’ve had a terrible time trying to sell ads for it; execs must’ve been looking at the contract wondering How do we get out of this … it’s a disaster!

Se non ci sono spettatori nessuno paga per gli spazi pubblicitari, e se gli spazi pubblicitari non vengono comprati, o vengono comprati a basso costo, la televisione non è molto felice. Più avanti leggiamo

“There were rumblings,” says Peter Carruthers. “You start to hear things about the salespeople at the network having trouble selling the time, and you know what that means. But if you paid whatever million for the rights, you’d better make that up in advertising revenue. If you don’t, you’re out.”

Con numeri molto poco incoraggianti sono arrivati i Giochi olimpici. In campo maschile gli Stati Uniti avevano il ventunenne Johnny Weir, campione nazionale per il terzo anno di fila, al quinto anno fra i senior ma mai sul podio in una gara più importante di una tappa di Grand Prix, il ventenne Evan Lysacek, bronzo all’ultimo Campionato del mondo, anno della sua prima partecipazione, e vincitore di un oro e un bronzo al Four Continents Championship, e il venticinquenne Matthew Savoie, dodicesimo (nel 2002) e sedicesimo (nel 2004) nelle sue uniche partecipazioni mondiali, e bronzo al recente Four Continents Championship, una gara che spesso i migliori disertano nella stagione olimpica. Le prospettive non erano esaltanti.

Fra le donne all’inizio sembrava che sarebbe stata presente Michelle Kwan, alla ricerca di quell’oro olimpico che le è sempre sfuggito. Dal 1994, anno dell’esordio senior (ma in quella stagione ha vinto anche il Campionato del mondo junior), Kwan ha vinto cinque ori, tre argenti e un bronzo mondiali, un argento e un bronzo olimpici, un oro e quattro argenti nelle finali di Grand Prix, un argento ai Goodwill Games e dodici ori, un argento e un bronzo in gare di Grand Prix. In più ha vinto nove ori – otto consecutivi, ed è salita sul podio, al primo o al secondo posto, per 12 anni di fila – al campionato nazionale. Tutti aspettavano lei… solo che nel primo allenamento ufficiale Kwan si è infortunata all’inguine ed è stata sostituita dalla diciassettenne Emily Hughes, sorella minore di quella Sarah Hughes che nel 2002 aveva vinto l’oro olimpico. Malgrado il successo, Sarah, la cui carriera senior era durata solo quattro stagioni (con le medaglie concentrate in due), non era stata capace di catturare l’interesse degli americani come Michelle, e la carriera di Emily è durata ancora meno, due sole stagioni fra campionati mondiale, continentale (un argento vinto nel 2007) e Giochi olimpici. Poi c’erano la ventunenne Sasha Cohen, argento nelle due precedenti edizioni del Campionato del mondo ma troppo incostante sui salti per dare affidamento, e la sedicenne esordiente Kimmie Meissner. Nessuno era una star, tanto è vero che Kelli Lawrwnce ha intitolato il capitolo dedicato all’Olimpiade del 2006 Searching for “Somebodies”.

Ho già riportato parte di questo brano qualche tempo fa:

Without Kwan in the mix, well-known American skaters were hard to come by in Torino, and, for the second Olympics in a row, even harder to find atop their respective podiums. Johnny Weir, the sometimes hilariously outspoken U.S. men’s champion of 2006, found himself in second place after the short program, but failed to follow up with an equally successful free skate and finished in fifth.

And Sasha Cohen, the longtime runner-up to Kwan who had finally won a U.S. title for herself in 2006, was actually the leader going into the free skate … but, like Weir, faltered.

Questi i risultati dei pattinatori statunitensi. Uomini:

  • 4 Evan Lysacek (10+3);
  • 5 Johnny Weir (2+6);
  • 7 Matthew Savoie (8+5).

Donne:

  • 2 Sasha Cohen (1+2);
  • 6 Kimmie Meissner (5+6);
  • 7 Emily Hughes (7+7).

I risultati sono arrivati con il nuovo codice di punteggi, in vigore al Campionato del mondo dalla stagione precedente e ancora misterioso per molti spettatori e pure per parte degli atleti. Non entro nei meriti o nei demeriti dei vari codici di punteggio, sottolineo solo un dettaglio:

the fact that the I.J.S. seeks to improve the quality of scoresrather than the quality of the judges that give them—leaves some believing the entire system is an exercise in futility. “If George Steinbrenner gets to pick the umpires for the World Series, would you ever believe in the results?” asks Scott Hamilton. “It’s the same thing … instead of looking at the quality of the judges, they’re representing their country, and there’s a conflict of interest there. I think there’s a way to set up judges who are affiliated with the ISU, but are still their own person … and the best judges should be the ones to go the Olympic Games.

Il problema non è tanto quale sistema di punteggio viene adoperato, ma come viene adoperato, e in questo senso non abbiamo avuto nessun miglioramento da Salt Lake City. Cos’è successo quando la televisione americana ha trasmesso i Giochi olimpici di Torino?

on February 23, 2006, when the Ladies’ Final went up against the perennial ratings-topper American Idol and lost by a wide margin (23.5 million for Idol; 17.7 million for the Olympics). It had been a similar story about a week earlier—when the Men’s Final competed with Idol for viewers and was pummeled in the ratings, 27 million to 16.1 million—but since the Ladies’ Final often serves as the highest-rated event of the Games, the Idol loss was particularly shocking.

[…] why was a weekly singing contest pulling down better numbers than the pinnacle of a worldwide athletic event that only came around every four years?

Kimmie Meissner, sesta ai Giochi olimpici, ha vinto l’oro al Campionato del mondo un mese più tardi, un campionato disertato sia dalla medaglia d’oro di Torino, Shizuka Arakawa, che dalla medaglia di bronzo, Irina Slutskaya. A questo successo sono seguiti il quarto posto nel 2007, il settimo nel 2008, e poi l’abbandono all’agonismo.

Following Michelle Kwan’s departure from competitive figure skating, America (and ABC/ESPN) was looking a new champion with staying power. When Kimmie Meissner emerged as the World Champion of 2006 at age 16, Peggy Fleming and Terry Gannon eagerly embraced her on-air as “the new face of figure skating.” Unfortunately, a rash of injuries and other difficulties plagued Meissner in the years that followed. “Staying power” has been hard to come by for other members of the U.S. ladies’ team ever since. Some blame this, in part, for the decline in American TV viewership of the sport.

Meissner, non solo per colpa sua, non è diventata una star.

When she announced in the fall of 2009 that injuries would also keep her out of the 2009–10 season—and, therefore, deny her a shot at making the 2010 Olympic team—hopes of Meissner making a pre–Games comeback were officially dashed, at least in regards to Vancouver. And the “new face” of figure skating—at least, American figure skating—was all but nonexistent in the competitive realm.

E Meissner non è stata l’unica pattinatrice che, per un motivo o per l’altro, ha deluso. Nel 2009 Alissa Czisny è diventata per la prima volta la campionessa americana. Due mesi più tardi, al Campionato del mondo, ha realizzato solo il quattordicesimo programma corto.

Consequently, NBC opted to leave her free skate out of its broadcast altogether. It was the first time a reigning, present U.S. ladies gold medalist was not seen at Worlds by the TV audience.

Ho il sospetto che decidere non trasmettere la campionessa nazionale non sia un buon segno. L’anno successivo ci sono stati i Giochi olimpici, con due sole pattinatrici statunitensi presenti:

While Flatt and Nagasu were considered to have skated exceptionally well at the Vancouver Winter Olympics, many made note that it was the first time an Olympic ladies’ figure-skating podium did not have a U.S. lady on it since 1964.

What’s gone wrong? Some would say the American ladies of today are simply being outskated by an Asian contingency which is stronger than anyone has ever seen before.

Torniamo al confronto fra il pattinaggio e American Idol.

Producer/director Rob Dustin thinks there’s a bigger connection between the two than most realize. “If you think about it, American Idol does what we used to do with figure skating: tell stories about ‘nobodies’ that become ‘somebodies’ because of their talent, and create a storyline around that person,” he says. “I don’t feel NBC did much storytelling during the 2006 Olympics, and I think what happened with Idol kind of rattled their cages.… I’m a firm believer that you’ve got to tell the stories. Give viewers 90 seconds about somebody so they can care about them.”

ABC’s Susie Wynne agrees with Dustin’s theory. “I used to fall in love with the Olympic stories,” she recalls. “Who was Franz Klammer [1976 Olympic gold medalist in downhill]? I didn’t know, but I was gonna find out! I’d love hearing they came from a little mountain town, and they didn’t speak a stick of English. And the East German girl—you liked her, too, because she had a sad story. We’ve all got our stories—and when you personalize somebody, people identify with them and do want to root for them.”

Il pattinaggio non è stato l’unico sport i cui spettatori sono calati, anche grazie a internet che ha consentito di conoscere subito i risultati delle gare che non venivano trasmesse in diretta, o a possibilità diciamo alternative di guardare le gare. Lascio Lawrence e mi sposto su Mary Louise Adams e il suo Artistic Impressions.

Skating commentators started playing up Lysacek’s marketing potential after he won his first national title in 2007. As an American skating blogger put it, ‘some in the media and U.S. Figure Skating feel very comfortable touting Evan Lysacek as the “meat and potatoes” man our sport, apparently, so desperately needs.’ Tall and conventionally good looking, Lysacek’s timing could not have been better in terms of marketing opportunities. As the reigning world champion in an Olympic year, he was a good bet for an Olympic gold medal. Also important to his ability to attract endorsement contracts was the fact that 2010 was the first time in decades that American women, who are generally among the most hyped athletes of the winter games, headed into the Olympics with no big names among them. Someone needed to fill the media void. The handsome Lysacek, who, as world champion, had already become a feature of celebrity gossip columns, was a promising candidate.

Non avendo speranze per una medaglia in campo femminile, a Vancouver gli statunitensi si sono concentrati su Lysacek, qualcuno, come Joseph Inman, anche con comportamenti che, pur non essendo sanzionabili, non sono esattamente corretti. L’oro del 2010 è arrivato, poi il già citato nulla, e nessuna speranza di riempire il vuoto perché gli atleti statunitensi, sia uomini che donne, erano troppo staccati dai migliori da un punto di vista tecnico. Non serve raccontare storie se poi non si vince, tanto è vero che le gare sono quasi sparite dagli schermi americani. In Push Dick’s Button, il campione statunitense ha spiegato

I don’t like that I couldn’t see the 2013 World Championship live on network television. That’s probably because the ratings in the U.S. have dropped into the cellar where the doggies are sent when they are bad. The 2014 World Skating Championship are held in March right after the big hoopla of the Olympic Winter Games and won’t be seen live, except as a two-week delayed summary show in April. (pagg. 224-225)

Un cambiamento talmente grande rispetto al passato che deve sicuramente aver fatto preoccupare molto la federazione americana, ma anche tutti coloro che con il pattinaggio avevano ottenuto notevoli guadagni. Per questo, se la vittoria non arriva, si provano a esaltare anche le vittorie a metà. L’importante è che la gente non se ne accorga, e chi va a questionare quando si vince? In un articolo pubblicato nel dicembre del 2019 su Forbes, mica sul mio piccolo blog, David Rae ha elogiato Adam Rippon spiegando che

Adam Rippon could be the most famous bronze medalist from the Winter Olympics, ever. Can you name who won the gold for men’s figure skating? At least he is the only bronze medalist figure skater I can name. To be fair, I’m not watching much figure skating.

L’ultima riga dice tutto: Rae non conosce il pattinaggio. Però si permette di scriverne, e di contribuire a influenzare l’opinione pubblica. La medaglia di bronzo olimpica di PyeongChang, se parliamo di uomini, è Javier Fernandez, Rippon è arrivato decimo. Rippon ha vinto un bronzo nella gara a squadre, cosa che Rae nel suo Adam Rippon: Beautiful On The Outside, Fabulously Frugal On The Inside si è dimenticato di specificare, probabilmente perché avrebbe rovinato il suo discorso. Il tizio che ha vinto l’oro olimpico per lui è senza nome e senza neppure nazionalità, tanto l’articolo è di parte. Non dico che tutti debbano conoscere Yuzuru Hanyu, io non conosco tantissimi atleti in tantissime discipline, ma proprio perché non li conosco non parlo di loro perché so di non essere competente per farlo. Non conoscere un atleta è umano e non è particolarmente importante, ma sminuirlo per la propria ignoranza è gravissimo. E questo non è stato l’unico articolo di questo tipo in cui mi sono imbattuta, è stato solo il primo che ho ritrovato facilmente.

Per i pattinatori statunitensi delle discipline individuali le cose sono andate male, almeno fino all’arrivo di Nathan Chen. Chen si è fatto notare fin da piccolo per il numero di quadrupli che era in grado di realizzare. Nella stagione 2013-2014 ha vinto il bronzo sia alla finale di Grand Prix junior che al Campionato del mondo junior. La stagione successiva ha avuto qualche problema fisico che lo ha costretto a saltare alcune gare e non gli ha consentito di ottenere gli stessi risultati, ma nel dicembre del 2015 ha vinto la finale di Grand Prix junior. Come medaglia di bronzo al campionato nazionale senior avrebbe dovuto partecipare al Campionato del mondo, sia junior che senior, ma una frattura da avulsione, credo all’anca sinistra, lo ha bloccato per alcuni mesi. Il suo debutto fra i senior è arrivato nella stagione 2016-2017 con il Finlandia Trophy, vinto davanti a Patrick Chan e Maxim Kovtun. Nei due programmi ha presentato complessivamente due quadrupli Lutz, due quadrupli flip (uno con caduta), due quadrupli toe loop (uno con caduta) e un quadruplo Salchow (con caduta). Gli errori sono stati parecchi, in ciascuno dei due programmi una delle trottole ha ricevuto il segno V, e nel libero i quadrupli Lutz, il flip e il triplo Axel hanno avuto un GOE negativo, ma un pattinatore capace di proporre 7 quadrupli fra i due programmi è da tenere d’occhio. In Finlandia non è riuscito a eseguirli al meglio, ma se le intenzioni sono queste è evidente che quando i salti entreranno gli altri pattinatori avranno la vita complicata.

Nella stagione precedente Hanyu aveva infranto tutti i record con due quadrupli nel programma corto, ma erano toe loop e Salchow, quelli che valgono di meno, mentre Chen ha eseguito Lutz e flip, quelli che valgono di più, e tre quadrupli nel libero. Sono due meno di Chen, e se anche in questa stagione Hanyu ha inserito nei suoi programmi il quadruplo loop, il programma di Chen contiene un quadruplo in più, e i suoi sono quadrupli che pesano parecchio. Guardando solo questi numeri, Chen avrebbe dovuto vincere tutto senza problemi. A fare la differenza in molti casi è la qualità, sia con il GOE degli elementi che hanno un valore base, sia con i components, che dovrebbero indicare la qualità di ciò che è stato proposto al di là degli elementi dotati di un proprio valore base, e il modo in cui tutti gli elementi sono stati fusi in qualcosa di unico.

La seconda gara senior di Chen è stata l’Internationaux de France, gara di Grand Prix. Secondo programma corto, quarto libero con due cadute, su Salchow e toe loop, e altri due salti dal GOE negativo. Per lui quarto posto complessivo. Quindi l’NHK Trophy, primo confronto diretto con Hanyu. Hanyu vince entrambi i programmi e la gara, con due secondo posti (e una caduta per segmento di gara) Chen arriva secondo. Il distacco è elevato, oltre 30 punti.

BV GOE TES PCS ded. TSS
Hanyu 49.75 7.60 57.35 46.54 103.89
Chen 52.05 -3.50 48.55 40.39 -1.00 87.94
Hanyu 94.13 11.93 106.06 92.52 -1.00 197.58
Chen 100.25 -2.34 97.91 84.06 -1.00 180.97

Il valore base di Chen è più alto, Hanyu ha vinto sul grado di esecuzione (quello di Chen è addirittura negativo) e sui components.

Il secondo confronto c’è stato alla finale di Grand Prix. Nel programma corto Hanyu si è lievemente migliorato, Chen non ha completato la rotazione dei quadruplo flip e il distacco nel primo segmento di gara è aumentato. La vera differenza c’è stata nel libero. Chen ha atterrato tutto e, con soli gradi di esecuzione positivi, ha aggiunto al suo valore base una dozzina di punti di GOE. A commettere una serie di errori è stato Hanyu, non solo sulla combinazione quadruplo Salchow-triplo toe loop, che gli ha creato problemi per quasi tutta la stagione, ma anche su altri due elementi di salto, con l’euler della combinazione a tre degradato e il successivo Salchow solo doppio, e il Lutz finale solamente singolo. Il suo GOE non ha raggiunto gli 8 punti. I components, per entrambi, hanno avuto variazioni piccole, inferiori al mezzo punto. Chen, che aveva eseguito il quinto programma corto, ha realizzato il miglior libero e si è classificato secondo. Hanyu, con il miglior programma corto e il terzo libero, ha vinto la gara. La differenza fra i due è scesa a 11.05 punti. Shoma Uno, autore del secondo libero, si è classificato terzo a 34 centesimi da Chen. Il campione del mondo in carica, Javier Fernandez, ha commesso diversi errori in entrambi i programmi e si è dovuto accontentare del quarto posto, a oltre 14 punti da Chen. Se ancora qualcuno non se n’era accorto, Chen si è candidato ufficialmente come uno dei più importanti rivali di Hanyu. Qualcuno per la verità se n’era già accorto, e aveva iniziato a spingerlo.

In entrambe le gare erano presenti un giudice statunitense e un giudice giapponese. In grassetto ho indicato il punteggio effettivamente ottenuto dai pattinatori nel programma corto, nel libero, e, sotto, nel totale. Ho guardato quindi il comportamento dei due giudici, l’americano Roger Glenn e la giapponese Tomiko Yamada all’NHK Trophy, l’americana Lorrie Parker e la giapponese Ayumi Kozuka alla finale di Grand Prix.

In Giappone, nel programma corto, con Hanyu Glenn è rimasto al di sotto della media di 1.39 punti, con Chen si è piazzato al di sopra della media di 0.11 punti. Valori bassi, il suo bias è stato ridotto, 1.50 punti. Quello di Yamada è stato ancora inferiore, lei è stata al di sopra della media, e neppure di tanto, per entrambi i pattinatori, al punto che il suo bias è di soli 0.10 punti. Con valori così bassi, possiamo dire che entrambi i giudici hanno votato in modo onesto.

Nel libero il bias di Yamada si è alzato fino a 2.37 punti, ma considerando che in questo programma sono a disposizione il doppio dei punti il valore è assolutamente accettabile. Roger Glenn però ha mostrato il suo nazionalismo non tanto nell’alzare il voto di Chen, 2.68 punti in più rispetto alla media, quanto nell’abbassare il voto di Hanyu, a cui ha tolto 7.15 punti. Glenn non è stato così severo con nessuno degli altri nove pattinatori presenti alla gara, quelli che ha penalizzato di più, dopo Hanyu, sono stati Nam Nguyen, a cui ha assegnato 3.58 punti in meno rispetto alla media, e Deniss Vasiljevs, a cui ne ha assegnati 1.39 in meno. Direi che da lui Hanyu ha ricevuto una particolare attenzione. Nel programma libero Glenn ha abbassato il distacco fra Hanyu e Chen di 9.83 punti. Nell’NHK Trophy il bias complessivo di Glenn a favore di Chen è stato di 11.33 punti, niente male, è una differenza che avrebbe meritato un attento scrutinio e probabilmente anche la sospensione, a meno che Glenn non fosse riuscito a dimostrare di aver assegnato voti corretti, mentre quello di Yamada, 2.47 punti, è basso e rientra nella normale discrezionalità dei giudici.

Nella finale di Grand Prix i valori sono più vicini, il bias di Lorrie Parker, distribuito quasi equamente fra i due programmi, è molto elevato, e anche lei meriterebbe una bella indagine. A guardare i punteggi Kozuka sembra essere stata troppo generosa con Hanyu nel programma corto, ma quando si vedono numeri anomali non fa male riguardare da dove derivano i numeri e quindi cosa gli atleti hanno presentato in pista. Al quadruplo loop iniziale Kozuka ha dato uno 0, un -1 sarebbe stato più corretto, ma la combinazione quadruplo Salchow-triplo toe loop è da +3, e Lorrie Parker è riuscita ad assegnare un +1, mentre altri tre giudici (tra cui la spagnola Marta Ologazarre e la canadese Beth Crane, e va notato che Javier Fernandez e Patrick Chan erano fra i rivali più accreditati di Hanyu) hanno assegnato un +2. Anche la trottola conclusiva è da +3, anche se quattro giudici, compresi Parker e Crane, si sono fermati a +2. Kozuka è stata alta con Hanyu, sul loop e anche sul triplo Axel, per una volta dall’atterraggio troppo basso, ma i suoi voti sembrano alti anche perché altri giudici sono stati troppo bassi. Nel libero ha comunque riequilibrato il giudizio, assegnando a Hanyu solo 0.50 punti in più della media. Alla fine il bias di Kozuka rientra in limiti accettabili, quello di Parker è decisamente anomalo, e non sarà l’ultima volta.

Dopo la finale di Grand Prix il circuito internazionale si è preso una piccola pausa. Hanyu ha saltato il campionato nazionale per influenza, Chen è diventato per la prima volta campione americano. Con che punteggi lo ha fatto? I punteggi ottenuti nelle gare nazionali a livello internazionale non contano, o almeno così si dice. Certo non vengono considerati come record personali, ma i giudici li vedono e ne vengono influenzati.

Faccio un altro passo indietro.

Nel 1974, dopo il ritiro di Janet Lynn, medaglia di bronzo olimpica nel 1972 e medaglia d’argento mondiale nel 1973, Dorothy Hamill è diventata per la prima volta campionessa nazionale. In Culture on Ice (pag. 130) Ellyn Kestnbaum ha riportato un breve brano di The Divine Right of Queens, scritto da Jeanette Bruce per Sports illustrated del 18 febbraio 1974. In quelle righe leggiamo che

“the title and scepter always pass to the next in line, so Dorothy Hamill figured to win the crown despite putting on a plebeian performance,” and quoted “an old hand at judges’ antics” on Hamill’s apparently overly generous scores that “it has to be done that way. If we send her to the Worlds with a bunch of 5.5s, the Russians will automatically give her low scorse because we did.”

Di fatto, nel campionato nazionale i giudici americani hanno assegnato a Hamill voti alti anche se non li aveva meritati con il preciso scopo di farle assegnare voti alti nelle competizioni internazionali. Nel 1974. Qualcosa mi dice che si tratta di un’abitudine che non hanno mai perso. Guardiamo i voti di Chen. Il valore base è legato a quello che i pattinatori hanno fatto in pista – più o meno, in una delle trottole del programma corto di Skate America 2020 Chen non ha mantenuto la posizione bassa per due giri, l’elemento avrebbe dovuto essere annullato, invece fra valore base e GOE gli ha portato quasi 4.00 punti – e il GOE a come lo hanno fatto, anche se pure qui ci sarebbe da discutere, ma per questioni di tempo sorvolo. Guardo i components dell’intera stagione.

Sto provando a ragionare sulle possibilità offerte dai grafici, la freccia indica il campionato nazionale. Il colpo d’occhio ci dice che i voti più alti Chen li ha ottenuti proprio in quella gara. È facile notare anche come in tutte le gare che si trovano a sinistra, quindi in quelle che ha disputato prima, ha ottenuto voti più bassi rispetto a quelli che ha ottenuto in tutte le gare che ha disputato dopo, nelle colonne a destra. Se avete voglia di dare uno sguardo ai numeri, posto anche quelli:

Qui ho fatto anche le medie. La media dei voti ottenuti da Chen dopo il campionato nazionale, che ho evidenziato in grassetto, è superiore al voto più alto che ha ottenuto prima del campionato nazionale. Non vogliamo considerare il Finlandia Trophy perché penalizzante visto che era la prima gara senior di Chen? Nel Grand Prix le medie sono 40.73 per il programma corto e 82.61 per il libero, comunque inferiore rispetto ai voti del World Team Trophy. Potrebbe essere migliorato, certo, ma la mia impressione è che i voti siano legati alla convinzione dei giudici che il pattinatore meriti determinati voti. Se nel programma corto del campionato statunitense ha avuto voti compresi fra 8.50 e 9.00, come può, dopo, ottenere voti che si aggirano intorno all’8.00? Potrebbe se i giudici si concentrassero su come sono stati eseguiti i singoli programmi, ma sforzarsi per valutare davvero una prestazione è impegnativo.

Non è una critica fatta tanto per fare una critica, in questo mi riallaccio a quanto spiegato da Daniel Kahneman in Pensieri lenti e veloci. All’inizio del suo saggio racconta l’episodio del direttore di una società finanziaria che aveva investito un mucchio di soldi nelle azioni della Ford senza fare una valutazione seria ma fidandosi del suo istinto. In quel caso, ha spiegato Kahneman, prima dell’investimento l’uomo si è chiesto se avesse senso comprare quelle azioni. La sua mente, non conoscendo la risposta, ha fornito una risposta a una domanda collegata ma diversa (“mi piacciono le auto Ford?”), e lui ha agito sulla base di questa risposta, senza accorgersi di aver risposto a una domanda diversa.

Questa è l’essenza delle euristiche intuitive: quando dobbiamo affrontare problemi difficili, spesso rispondiamo a un problema più facile, di solito senza notare che è stata operata una sostituzione. (Kahneman, pag. 17)

Questo per dire che, al di là dei giudici che sostengono i connazionali perché sono connazionali, al di là di scambi di favori e di altre situazioni strane (e ho pubblicato un numero di episodi controversi così elevato da giustificare il fatto di guardare con sospetto a determinati voti), a volte i giudici assegnano voti alti perché quel pattinatore ha già ottenuto voti alti. È il motivo per cui la maggior parte delle federazioni gonfia i voti dei propri atleti, e l’unico modo per non cadere nell’errore è essere consapevoli del problema e fare molta attenzione. Un esempio di come i giudici vengono influenzati dalla gara precedente? Lo faccio subito, con gli ultimi tre programmi corti disputati da Chen nella stagione 2016-2017. Le gare sono Four Continents Championship, Campionato del mondo e World Team Trophy.

Il Four Continents Championship è arrivato dopo il campionato nazionale. L’unico piccolo problema è stato sul quadruplo Flip, che ha ricevuto tre -1. In realtà i giudici hanno graziato Chen perché quel salto, più che essere preceduto da passi, è preceduto da una long preparation.

Due deduzioni su un unico salto sono troppo penalizzanti? Va bene, anche perché se c’è la seconda è ovvio che non c’è la prima ma, visto che la prima, c’era il -3 era d’obbligo, e considerando anche eventuali bullet positivi quel salto avrebbe comunque dovuto avere un GOE negativo. Comunque lasciamo stare, in questo momento i GOE mi interessano relativamente perché se analizzo troppe cose tutte insieme non ne vengo più fuori. Chen ha eseguito il miglior programma corto, aiutato da Hanyu che nella combinazione ha eseguito un Salchow doppio invece che quadruplo, quindi con il secondo libero ha vinto la gara.

Mi limito a guardare solo il programma corto perché è nel programma corto che hanno effetto le aspettative sui pattinatori nate dalla gara precedente, al libero i pattinatori arrivano con un riscontro più immediato, il punteggio che hanno appena fatto segnare nel primo segmento di gara. Prima o poi comunque lo guardo il libero del Four Continents Championship, ma non ora.

Ovvio che al successivo Campionato del mondo Chen fosse fra i favoriti, anche perché i pattinatori capaci di superare i 300 punti sono pochi. A Helsinki però le cose per lui non sono andate al meglio.

Sul triplo Axel è caduto, e quest’errore lo ha relegato al sesto posto. Nel libero le cadute sono state due, sul quadruplo Lutz iniziale e sul quadruplo Salchow, e altri tre elementi di salto hanno ricevuto GOE negativi. Il risultato è stato un quarto posto nel segmento di gara che gli ha impedito di spostarsi dal sesto posto complessivo. Nella mente dei giudici le quotazioni di Chen si devono essere un po’ abbassate. L’ultima gara è stata il World Team Trophy.

A livello tecnico è stato il programma che ha creato meno problemi (non ho riguardato l’esecuzione del flip, dubito che abbia aggiunto qualche passo ma sorvolo). Eppure, pur senza problemi, per questo programma Chen ha ricevuto sui components voti più bassi rispetto a quelli delle due gare precedenti. I giudici non si aspettavano più una prestazione straordinaria da Chen, e hanno abbassato i voti.

Volete un altro esempio di come i voti nel campionato nazionale influenzino quelli delle competizioni internazionali? Questi sono i voti ricevuti da Chen in skating skills. Ho guardato tutte le stagioni da quando ha iniziato a partecipare alle gare junior fino alla stagione 2019-2020.

Temo che le scritte siano illeggibili, sul modo di fare i grafici sto ancora ragionando. Ogni colore indica una stagione diversa a partire dalla 2012-2013. Ho guardato tutte le gare, Japan Open escluso perché le esibizioni contano poco anche se c’è un pannello di giuria. In due occasioni manca il programma libero, nella seconda gara di Grand Prix junior di Chen, perché un infortunio lo ha costretto al ritiro, e nel team event olimpico, dove quel segmento di gara è stato disputato da Adam Rippon. La crescita è notevole, ma ne parlerò in un’altra occasione, quando sarò riuscita a guardare tutte le voci dei components e magari a fare qualche altro controllo. C’è però un dato comune, occasionale nelle prime tre stagioni, quando Chen era ancora giovanissimo e gli Stati Uniti stavano ancora cercando di capire quale fosse l’atleta su cui puntare, e fisso dal 2015-2016 in poi. Ho evidenziato il campionato nazionale con una tinta lievemente più scura rispetto al colore che ho usato per le altre gare della stessa stagione. Indipendentemente dal punteggio, il voto più alto in skating skills Chen lo ha ricevuto al campionato nazionale, e in tutte le gare che ha disputato dopo il campionato nazionale, fra febbraio e aprile, i suoi voti sono stati più alti rispetto a quelli della prima parte della stagione, fra settembre e dicembre (fa eccezione il 2018 perché a PyeongChang Chen ha pattinato due programmi corti molto fallosi e i voti ne sono stati influenzati, anche se non quanto avrebbero dovuto). Potrei sbagliarmi, ma sospetto che quei voti altissimi che riceve a casa sua un certo effetto sui giudici lo abbiano.

Va bene, siamo arrivati alla stagione olimpica, dopo un lunghissimo periodo (7 anni) in cui gli americani non hanno conquistato medaglie in campo maschile e hanno vinto un solo argento (in 11 anni) in campo femminile fra Campionato del mondo e Giochi olimpici. Se il tifo è comprensibile, la televisione americana si sentiva davvero con l’acqua alla gola. Hanno puntato tutto su Chen favorito ai Giochi, anche perché era la loro unica possibilità. Fra le donne l’oro se lo sarebbero giocato la due volte campionessa del mondo Evgenia Medvedeva e la sua compagna di squadra, l’esordiente Alina Zagitova, e lo sapevamo tutti, mentre le altre pattinatrici avrebbero lottato per il bronzo. Nella danza la lotta sarebbe stata fra i canadesi Tessa Virtue/Scott Moir e i francesi Gabriella Papadakis/Guillaume Cizeron, con gli statunitensi Maia e Alex Shibutani favoriti per il bronzo. Nelle coppie di artistico la possibilità di una medaglia non esisteva, mentre nella gara a squadre era probabile che gli Stati Uniti avrebbero confermato il bronzo di quattro anni prima. Fra quattro gare erano attesi due bronzi, forse tre, se una delle pattinatrici statunitensi si fosse superata (e non è successo, il bronzo è andato alla canadese Kaetlyn Osmond). L’unica possibilità di un oro era legata a Nathan Chen. La stampa lo ha esaltato come futuro campione, e non è una cosa innocua. Per Chen ha significato più pressione addosso, ma il bombardamento mediatico ha effetto anche sui giudici.

Torno a Kahneman e alla sua spiegazione dell’effetto priming. Lui spiega che gli argomenti che ci sono familiari, quelli di cui abbiamo appena sentito parlare, o di cui abbiamo sentito parlare a lungo, rimangono nelle nostre menti e ci influenzano anche in modo inconscio. L’esempio che fa riguarda il completamento di una parola a cui manca una lettera.

Se abbiamo visto o sentito da poco il termine EAT (mangiare), è più probabile che, per un certo tempo, completeremo il frammento di parola SO_P con SOUP (zuppa) invece che con SOAP (sapone). L’opposto accadrebbe, naturalmente, se avessimo appena visto WASH (lavare). (pag. 69)

Siamo abituati a sentire qualcosa, e a questo qualcosa associamo qualcos’altro. Se i giudici sono abituati a sentire che Chen vincerà l’oro olimpico, quando lui pattinerà i giudici alzeranno inconsapevolmente i suoi GOE e i suoi components perché Nathan non può pattinare male (questo quando non lo fanno consapevolmente, ovvio, credo di avervi sensibilizzati abbastanza da farvi capire a chi sto pensando anche se mi limito a scrivere LOR_ _ _E PAR_ _ _R). La stampa americana ha fatto del suo meglio per aiutare Chen a vincere, un Chen che si è pure presentato alla gara dopo aver vinto la sua prima finale di Grand Prix. Certo, Hanyu distruggendosi la caviglia gli aveva facilitato le cose, però Chen quella finale l’ha comunque dovuta vincere davanti a un certo Shoma Uno, non proprio l’ultimo arrivato.

Chen ha completamente sbagliato il programma corto olimpico. Con quello che ha fatto può già ringraziare la sua buona stella, o forse l’effetto priming, oltre che il pannello tecnico, per essere riuscito a qualificarsi per il libero.

Questo è il quadruplo Lutz iniziale. Nella prima immagine a destra vediamo la puntata, le altre tre, andando verso sinistra, sono l’atterraggio. Già dalla prima immagine dell’atterraggio è sul ghiaccio, ed è atterrato rivolto in avanti, nella seconda continua a ruotare sul ghiaccio, nella terza sta già cadendo. Questo salto è sottoruotato, il valore base avrebbe dovuto scendere da 13.60 a 9.50 punti. Sono 4.10 punti in meno. Significa il ventunesimo programma corto invece del diciassettesimo, guardando solo un salto. Qualche dubbio ce l’ho anche sugli altri salti, ma non sono riuscita a ottenere immagini chiare.

Prendiamo invece il voto in performance. 8.14 con tutti gli elementi di salto sbagliati? Michal Brezina, che non ha fatto errori, ha preso 8.25. Davvero un programma disastroso merita un voto così vicino a quello di Brezina? Keegan Messing, con un salto sbagliato (caduta sul triplo Axel) in performance ha ricevuto 8.07, meno di Chen. Jorik Hendrickx con un programma pulito ha ricevuto 8.25, poco più di Chen. Vero, Hendrickx non ha eseguito quadrupli, ma neppure Adam Rippon ne ha eseguiti, e in un programma in cui il triplo Axel ha ricevuto un GOE lievemente negativo ha ottenuto in performance 8.86, mentre Misha Ge, pure lui senza quadrupli e tutti voti positivi, ha ottenuto 8.54. Per performance non conta il numero dei quadrupli ma l’impressione data dal programma nel suo insieme, e dubito che un programma costellato di errori dia una buona impressione. Neppure Jun-hwan Cha ha fatto errori, fra i voti che ha ricevuto per i GOE ci sono solo cinque 0, gli altri sono tutti +1, +2 e +3, ma in performance ha preso un bel 8.07, anche lui meno di Chen. Brendan Kerry, lievemente più falloso (triplo Axel con -0.57 di GOE) si è fermato a 7.61. Non è che il voto di Chen sia un tantino generoso? E probabilmente questo non è stato l’unico voto generoso.

Con il miglior libero, aiutato da un Hanyu in non perfette condizioni (allenamenti ricominciati a gennaio sotto l’effetto degli antidolorifici, è già un miracolo che sia riuscito a partecipare alla gara, non parliamo poi di pattinare come ha pattinato), Chen è riuscito a risalire solo fino al quinto posto. Per la verità Lorrie Parker gli avrebbe assegnato il bronzo, ma per fortuna lei non era l’unico giudice. A quando la pensione?

Archiviati i Giochi olimpici, c’è stato il Campionato del mondo. Facciamo i conti. Hanyu, campione olimpico, non è andato perché ancora stava malissimo ed è rimasto a casa a curarsi. Shoma Uno, medaglia d’argento, si è fatto male durante il Campionato del mondo. Nulla di troppo grave, ma quanto bastava per limitare le sue prestazioni. Javier Fernandez, medaglia di bronzo olimpica, non si è presentato al Mondiale perché ha deciso di abbandonare l’agonismo. Poi ha disputato ancora il Campionato europeo 2019 perché voleva un ultimo titolo, però di fatto si è ritirato con i Giochi olimpici (già che c’era poteva pure presentarsi al Campionato europeo 2020, per come hanno pattinato tutti quanti avrebbe vinto lui anche senza allenamento). Non so cos’abbia combinato Boyang Jin nel libero di Milano, il protocollo di gara fa impressione e non in senso buono, ma di quella gara maschile a distanza di anni non ho ancora guardato un solo programma e non posso fare commenti. Evidentemente però le circostanze hanno servito su un piatto d’argento il suo primo titolo mondiale a Nathan Chen.

Cos’è successo dopo? È cambiato il codice dei punteggi. Con il sistema +5/-5 è aumentata l’importanza dei giudici, e se i giudici, per qualsiasi motivo, assegnano voti errati, è molto più facile che i risultati delle gare siano falsati. I giudici assegnano voti errati? La storia dice di sì, fin troppo spesso. Dal programma corto è stata tolta la richiesta che il salto triplo o quadruplo fosse preceduto da passi, perciò se teoricamente prima i giudici potevano essere sanzionati per non aver applicato la detrazione a Chen per l’assenza di passi – non che loro la applicassero, o che ne sia stato sanzionato qualcuno – ora quello che fa Chen è accettato, e se Hanyu continua a fare passi è una scelta sua. Sbaglia perché ha voluto provare una cosa difficile? Peggio per lui. Fa tutto bene? E che importanza ha? Il +5 lo si può riservare a un’altra occasione, lui può comunque fare di meglio.

Ora giudici sono molto più propensi a vedere imperfezioni nel pattinaggio di Hanyu, indipendentemente dal fatto che ci siano. Prendiamo l’ultimo record del mondo che ha stabilito, il programma corto del Four Continents Championship 2020. Quali bullet – ne servono due fra passi prima del salto, ottima posizione del corpo dallo stacco all’atterraggio ed elemento eseguito a tempo con la musica – mancano per non assegnare il +5 al quadruplo Salchow iniziale? Na Young Ahn (Corea del Sud), Nadezhda Paretskaia (Kazakistan), Hailan Jiang (Cina) e Sakae Yamamoto (Giappone) hanno assegnato al salto solo un +4. Quali, di quei bullet, mancavano alla combinazione quadruplo toe loop-triplo toe loop? Sasha Martinez (Messico), ancora Na Young Ahn, Katherine Evelyn Du Preez (Australia), Nadezhda Paretskaia e Sakae Yamamoto hanno assegnato +4. E quali mancavano al triplo Axel? Sasha Martinez, Roger Glenn (Stati Uniti) e Katherine Evelyn Du Preez hanno assegnato al salto un +4. Domande simili potrebbero essere fatte per le trottole e per la sequenza di passi. In 63 voti quel programma ha ricevuto diciannove +5, trentacinque +4, otto +3 e un +2 (dal giudice cinese). E non è un discorso legato a una sola gara.

percentuale GOE e PCS world record

Guardiamo prima la tabella in alto e il grafico di sinistra. Se escludiamo i record per il punteggio complessivo nella gara, Hanyu ha stabilito quindici record del mondo, dieci nel programma corto e cinque nel programma libero. Di tutte queste prove ho calcolato il GOE che ha ottenuto, il GOE massimo che avrebbe potuto ottenere con gli elementi che ha eseguito, e la percentuale di GOE ottenuto rispetto al massimo possibile. Non ho inserito tutti i dati per non spaventare nessuno pubblicando valanghe di numeri. A Skate America 2012, la prima volta che ha stabilito il record del mondo, Hanyu ha conquistato 8.35 punti con il GOE. Con quei salti (un quadruplo toe loop, un triplo Axel, una combinazione triplo Lutz-triplo toe loop), tre trottole e una sequenza di passi di livello 4, il GOE massimo era di 14.10 punti, lui ne ha conquistati il 59,22%. In seguito la percentuale è aumentata perché negli anni la qualità degli elementi eseguiti in pista da Hanyu si è alzata. La crescita, con il vecchio codice di punteggi, è evidente, con la sola eccezione del Campionato del mondo 2017, dove il libero è stato sottostimato in modo incredibile dalla giuria. Con il cambio del codice di punteggi (passo dal blu al verde per distinguere bene i due periodi), improvvisamente la qualità degli elementi eseguita da Hanyu sembra essere peggiorata, perché la percentuale di GOE che ottiene rispetto a quello possibile è molto più bassa. Nel libero del Grand Prix di Helsinki è solo il 33,95%, e che un record del mondo sia pagato così poco fa effetto. Vero, con l’introduzione del nuovo codice di punteggi per qualche periodo si sono susseguiti diversi record, perciò era possibile stabilirne uno pur senza essere perfetti, ma nel momento in cui Hanyu ha stabilito il record erano già scesi in pista sia Shoma Uno (per lui record del mondo in settembre al Lombardia Trophy) che Nathan Chen (record del mondo in ottobre a Skate America superando Uno). In novembre Hanyu ha superato Chen, e il suo record è durato fino a febbraio, quando è stato superato da Uno al Four Continents Championship. Si è trattato quindi di uno dei migliori punteggi della stagione, ma di GOE ha ottenuto solo il 33,95%. Un caso particolare? Va bene, guardiamo gli altri punteggi. Il libero del Campionato del mondo 2017 non fa testo, nell’occasione Hanyu, che partiva dal quinto posto, è stato il primo dei pattinatori migliori a scendere in pista, e i giudici, fra i quali erano presente lo spagnolo Daniel Delfa (e in testa alla gara c’era Javier Fernandez), il cinese Weiguang Chen (con Boyang Chin che era quarto, mentre Hanyu era quinto) e il canadese Jeff Lukasik (Patrick Chan era terzo, e tutti questi pattinatori hanno eseguito il loro libero dopo Hanyu) hanno abbassato i suoi punteggi per consentire agli altri, se avessero pattinato bene, di restargli davanti. Nessuno di loro ha mai detto di essersi comportato così, ma a guardare la gara è evidente. Questo video spiega molto meglio di come potrei fare io gli errori del punteggio:

Lasciamo stare quel programma e guardiamo gli altri. In tutti e cinque i record del mondo che ha stabilito con il nuovo codice di punteggi, la percentuale di GOE ottenuta da Hanyu è stata inferiore rispetto a quella che aveva ottenuto in due dei quattro record precedenti, che nella tabella ho evidenziato in giallo. Solo al Four Continents Championship 2020 ha superato l’80% di GOE, cosa che aveva fatto in tre degli ultimi quattro record precedenti, e la volta che non ci era riuscito era stata la gara in cui i giudici erano stati particolarmente severi. Questo ci dice che, secondo i giudici, la qualità dei suoi elementi è peggiorata.

La tabella in basso, e il grafico di destra, riguardano i components. Per poter fare un confronto ho ridotto il tutto a un unico voto. Nel programma corto ho diviso il voto complessivo dei components per cinque, nel libero, che ha fattorizzazione doppia, l’ho diviso per dieci. In tutti e cinque i record del mondo stabiliti nell’ultimo biennio i suoi voti nei components sono stati inferiori rispetto a quelli dei cinque record del mondo precedenti. Mentre con gli anni i voti dei pattinatori nei components tendono a salire, quelli di Hanyu scendono, indipendentemente dalla qualità di quello che propone. Ho rifatto le stesse tabelle e gli stessi grafici concentrandomi non sui record del mondo ma su un unico programma, la ballata N. 1 di Chopin. Stavolta ho guardato le volte in cui Hanyu ha proposto un programma pulito, senza alcun tipo di errore. Oltre alle quattro gare già citate, NHK trophy 2015, la gara in cui Hanyu ha distrutto il sistema di punteggio, finale di Grand Prix 2015, Autumn Classic International 2017 e Four Continents 2020, in altre due occasioni non si è fermato tanto lontano dal suo stesso record, al Campionato del mondo 2016 e ai Giochi olimpici 2018.

percentuale GOE e PCS Chopin

Nella prima occasione, all’NHK Trophy, il punteggio è molto più basso rispetto a quello delle gare successive. Non che sia un punteggio basso, Hanyu ha superato il precedente record del mondo, detenuto sempre da lui, di 4.88 punti, nella maggior parte dei casi chi ha stabilito un nuovo record del mondo ha superato il vecchio per meno di due punti. Semplicemente è in quel momento che ha fatto capire ai giudici che dovevano alzare i voti. Nella prima gara hanno avuto paura di farlo, nella seconda si erano abituati all’idea di un programma perfetto, e i voti alti sono arrivati. Fatto capire che non era un’eresia assegnare un +3, o un 10.00, dopo la finale di Grand Prix i voti si sono gradualmente alzati per tutti… tranne che per Hanyu. I voti per i GOE si sono abbassati gara dopo gara (unica eccezione: i GOE dell’Autumn Classic International 2017 sono lievemente più alti di quelli della gara precedente, il Campionato del mondo 2016) e i components pure. Che lo facciano in modo consapevole oppure no, i giudici hanno piazzato Hanyu in una china discendente che non ha rapporti con quanto si vede in pista. La narrazione generale è che ora il campione è Chen, quindi mentre i voti di Chen si alzano, quelli di Hanyu si devono abbassare.

Edit: aggiungo un dettaglio, la scheda di Hanyu pubblicata dall’ISU. È la federazione internazionale che lo presenta così, non una federazione nazionale.

Nel testo che presenta il pattinatore fra gli idoli di Hanyu è indicato Johnny Weir, manca Evgeni Plushenko, ma sarà una svista che a essere indicato è solo lo statunitense e non il russo. Del resto non è mai successo che all’interno dell’ISU qualcuno abbia sabotato Plushenko per aiutare un pattinatore statunitense. All’inizio, dopo l’indicazione dei due titoli olimpici, manca anche l’indicazione che ha vinto due campionati del mondo, e che è stato il primo pattinatore asiatico a riuscirci, ma pazienza.

Comunque se la scheda di qualche pattinatore è incompleta, qualcun altro riceve elogi anche per cose che non ha fatto:

Chen è stato il primo pattinatore a completare cinque quadrupli in un unico programma, e al momento è l’unico che in gara ha presentato cinque tipi di quadrupli diversi, ed è giusto sottolinearlo, ma non è stato il primo a eseguire quattro quadrupli in un programma. Lo ha fatto al campionato statunitense 2016, ma per i primati le competizioni nazionali non sono significative, ciò che conta sono le gare internazionali. Questo è il protocollo del Four Continents Championship 2016, il pattinatore è Boyang Jin:

Torniamo al 1994 e al confronto fra Urmanov e Stojko, in un articolo di E.M. Swift per Sports Illustrated citato da Ellyn Kestnbaum:

No one better represented this new generation than the 21-year-old Stojko, otherwise known as the quad god… His movements were intentionally jerky, his poses decidedly unballetic and his jumps typically huge. Stojko, who had been landing his quadruple toe-triple toe combination all week in practice, is a veritable jumping machine, but his artistic marks have always held him back. The judges seem unable to forgive him for having the body of a Norwegian troll. His arms and legs appear too short for his muscular torso, his head and neck too large. His artistic possibilities, correspondingly, are limited. Stojko’s physique was not meant to carve classical lines through the air. “The judges have to realize there’s more than one style of skating,” says Stojko. “Not just the classical.” (Pagg. 199-200)

Non avevo ancora visto paragonare Stojko a un troll norvegese, ma in effetti è possibile che lui sia stato danneggiato dal suo aspetto un fisico, non esattamente quello che ci immaginiamo quando pensiamo a un pattinatore. Però, quando dice che i giudici devono capire che non esiste un unico stile, dice la verità e allo stesso tempo la sta un po’ forzando a suo uso e consumo. I giudici sono tradizionalisti, ma nel 1993 Kurt Browning aveva eseguito il miglior programma corto al Campionato del mondo pattinando sui tamburi di Bonzo’s Montreux dei Led Zeppelin, non esattamente un programma classico. Quello che fa con Stojko è sottolineare come il suo programma, dominato dai salti, sia più macho (Stojko è stato una delle bandiere degli aspetti più virili del pattinaggio) ma non meno artistico di quello di Urmanov per cercare di influenzare i giudici e avere voti nel secondo punteggio – ora sarebbero i components – più alti. Paragoni sul fatto che uno fosse meno raffinato ma saltasse di più rispetto all’altro li ricordo anch’io dai commenti dell’epoca. Stojko, canadese, non statunitense, ha lavorato per aumentare la considerazione dedicata ai salti, indipendentemente dall’aspetto artistico del programma, e la stampa occidentale era dalla sua parte.

Swift explicity rejectad Urmanov as inappropriately overdressed and flirtatious, therefore relying on physical charms rather than deeds to win favor-traits traditionally associated with femmininity (Kestnbaum, pag. 200).

Il discorso sugli aspetti femminili del pattinaggio è fondamentale nel libro di Kestnbaum, che mostra come, perché sia socialmente accettato che un uomo pratichi pattinaggio artistico, l’accento vada posto sull’aspetto atletico, sui salti. L’aspetto estetico viene ritenuto importante per le donne, non per nulla i concorsi di bellezza più importanti sono quelli femminili. La donna può essere trattata come un oggetto e guardata, quindi può fare mosse aggraziate, lune, cercare pose particolari, l’uomo deve essere virile, agire, quindi saltare, e indossare un abbigliamento che non distragga da quanto fa da un punto di vista atletico.

An implicit structuralist binary was established, with Stojko, newness and the West (i.e., the New World), masculinity wildness or roughness, naturalness, individualism, popular culture, democracy, and objective quantifiability on one side. On the other stand the figure skating establishment, conservatism and the East (the Old World), femininity, refinement, artificiality, conformity, high art, elitism, and the purely qualitative […]

American and Canadian media repeatedly returned to contrasting these two skater as exemplars of alternative visions of men’s skating that judging panels were forced to choose between, often with implicit or explicit endorsement of the values represented by Stojko and rejection of those represented by judges’ apparent preference for Urmanov. In rejecting Urmanov as an appropriate champion of men’s figure skating on the basis of his classical body line or frilly costumes, Stojko and his supporters in the Western press rejected the concept of figure skating as a space in which men, like “ladies”, are judged largely on appareance and favor instead of a view of the sport as based primarly on aggressive action in the form of big jumps and fast skating. (Kestnbaum, pagg. 200-201).

Va bene, togliamo big jumps e parliamo di a lot of jumps, e abbiamo a grandi linee la contrapposizione fra Chen e Hanyu. Non è tutto trasferibile da una coppia di pattinatori all’altra, fra l’altro Chen è più bello rispetto a Stojko, ma il discorso sui costumi, la sottolineatura dell’importanza dei salti e di un pattinaggio virile, l’accento sull’aspetto innovativo di determinati programmi (comodamente dimenticando i programmi innovativi di Hanyu), il confronto fra Occidente e Oriente, con il primo visto come positivo, sono gli stessi.

La stampa occidentale ha lavorato per esaltare Chen, e Hanyu lo ha involontariamente aiutato a vincere infortunandosi di nuovo alla Rostelecom Cup del 2018. Senza l’avversario più pericoloso, in dicembre Chen ha vinto indisturbato la sua seconda finale di Grand Prix. Quanto Chen si è presentato al Campionato del mondo 2019 era sì il campione del mondo e due volte campione della finale di Grand Prix in carica, ma i suoi successi erano arrivati tutti in assenza di Hanyu, cosa che la stampa non ha mai rilevato. Non solo quella americana, la stampa italiana segue poco il pattinaggio, ma dalla RAI arrivano solo elogi per Chen, elogi che lo esaltano per i successi senza ricordare le circostanze che lo hanno favorito, e che sottolineano che sia anche uno studente universitario, come se non fossero studenti universitari anche la maggior parte degli altri pattinatori (quelli che hanno l’età giusta almeno, in campo femminile molte sono studentesse delle scuole superiori). Ho sentito parlare più dei suoi studi universitari che di quelli di tutti gli altri pattinatori messi assieme. Il discorso sull’università, ripetuto fino alla nausea, rientra nella strategia volta a far conoscere meglio il personaggio, a renderlo più familiare a a far affezionare il pubblico a lui, presentandolo come un bravo ragazzo che si impegna su tutto. Discorso comprensibile per la televisione americana, ma se ne vediamo gli effetti anche in Italia è perché la televisione americana sta investendo parecchio, e questo mi preoccupa perché, come ci insegna Kahneman, a furia di martellare sul fatto che Chen sia un campione, i suoi voti si alzano, indipendentemente da quello che fa. Un esempio del fatto che Chen non viene valutato per quello che fa ma per la sua fama? La già citata trottola del programma corto di Skate America 2020:

Chen e Hanyu si sono ritrovati al Campionato del mondo di Saitama 2019. Hanyu ha sbagliato il Salchow nel programma corto, vero. Ha eseguito un doppio e il valore dell’elemento è andato a zero. Fin qui tutto corretto. Però il ceco Miroslav Misurec, la croata Antica Grubisic, l’istraeliano Albert Zaydman, la svizzera Bettina Meier, la spagnola Saoia Sancho e il francese Philippe Meriguet dovrebbero spiegare cosa mancava al triplo Axel per non assegnargli +5. E Misurec, Meier, Sancho e Meriguet sono riusciti ad assegnare sul triplo Axel +4 sia a Hanyu che a Chen. Il salto di Hanyu è stato perfetto, con ingresso da una controvenda, uscita con un twizzle, una fase di volo di 3.62 metri e un’elevazione di 70 centimetri. Chen è arrivato dopo una rincorsa – non dopo una delle sue più lunghe, ma comunque non era un salto eseguito senza preparazione – è atterrato sbilanciato in avanti e per mascherare la difficoltà ha subito messo giù il secondo piede ed è scappato via. Il suo volo è stato di 2,66 metri, con un’elevazione sul ghiaccio di 58 centimetri. Il salto di Hanyu è stato il più ampio fra quelli proposti dai 35 atleti che hanno disputato il programma corto, quello di Chen è nella media, quindi manca il primo bullet, very good height and very good length, da regolamento il salto di Chen non avrebbe dovuto prendere più di +3. Se poi guardiamo che non è effortless – lo sbilanciamento non è così grande da meritare una detrazione ma c’è, come è in grado di notare chiunque abbia mai guardato qualche gara di pattinaggio – che non c’è nessun passo prima del salto e che scarseggia pure la very good position, scopriamo che anche un +2 sarebbe stato un voto generoso per l’Axel di Chen. Peccato solo che +2 è il voto più basso che ha ricevuto, mi sa che i giudici si sono dimenticati di controllare i bullet. E questo è un salto solo, con un pattinatore, lo statunitense, beneficiario della generosità dei giudici, l’altro, il giapponese, quindi proveniente da una nazione che conta poco, non protesta mai e che al suo interno è pure divisa in due, indecisa se sostenere lui o qualche altro giapponese, danneggiato anche sugli elementi perfetti. E il problema non sono solo i salti. Rafael Aryutyunian, allenatore di Chen, parlando di di un’altra sua allieva, Ashley Wagner, dopo Skate Americ 2016, ha dimostrato di non sapere cosa siano le transitions, o che non gliene importa nulla:

Caso mai il video dovesse sparire, trascrivo il dialogo.

Intervistatore: – There’s been some criticism that there’s not enough transitions in the program, would you be adding those in?

Aryutyunian: – No, I mean it’s always… What do you mean transitions?

Intervistatore: – There’s a lot of two foot gliding

Aryutyunian: – Performance is not about two foot or one foot, it’s just performance. Judges… if they don’t like it they will give you less marks… if they don’t like it

Intervistatore: – Would you add if they do?

Aryutyunian: – No.

Visto che Aryutyunian sembra non saperlo, chiariamo cosa l’ISU (non io, l’ISU) intende per transitions.

Nel tempo l’ISU ha fatto qualche modifica a questa tabella, ma quello che intende per le varie voci dei components è specificato chiaramente. Effettivamente c’è una voce performance e non riguarda il pattinaggio su uno o due piedi, ma c’è pure la voce transitions, e che Aryutyunian svii il discorso significa che o non ha capito la domanda o non vuole rispondere, perché non intende ammettere che nel programma della sua allieva le transitions non sono poi così tante. Sì, qui non si parla di un piede o due piedi, però si parla di intricate footwork, e l’ISU specifica chiaramente in altri documenti quali siano i passi difficili: twizzles, brackets (controtre), loops (boccole), counters (controvende), rockers (vende) e choctaws, solo quest’ultimo passo si esegue con cambio piede, gli altri sono movimenti eseguiti su un piede solo. Aryutyunian se ne infischia allegramente delle transitions, dichiara che se i giudici non gradiranno abbasseranno il voto, sottolineando che la soggettività del giudizio ha un peso molto maggiore rispetto a quanto fatto dai pattinatori, e dice che lui comunque non aggiungerà transitions. E perché dovrebbe? Sa che i suoi allievi riceveranno comunque punteggi alti, indipendentemente da ciò che faranno. Nell’occasione Wagner ha ricevuto voti più alti di quelli di Mao Asada sia in skating skills che in transitions.

In questa tabella invece di evidenziare le parti che mi interessano in rosso ho usato il viola, perché il rosso era già presente nell’immagine originale. Ho evidenziato il significato dei voti. Un pattinatore dovrebbe ricevere un voto superiore a 9.00 solo quando ciò che ha fatto è eccellente, non perché si impegna tanto o perché è un bravo ragazzo. Qui si parla di qualità di pattinaggio, non di altro.

Ok, il commento era riferito ad Ashley Wagner, che ha avuto il suo momento di gloria al Campionato del mondo di casa, nel 2016, ma che ormai è ufficialmente ritirata. E Nathan Chen? Riporto una frase da quest’articolo:

https://fs-gossips.com/rafael-arutyunyan-if-a-person-is-a-fool-there-is-no-difference-whether-he-is-a-kid-or-adult/

Nathan and I were criticized for quite a long time, for example, that in a free program we have jumps and no transitions. So I asked a counter-question. I asked: “Do you want Chen to perform all his quad cleanly and wink to the judges at the same time?” Well, yes, we almost did it in the short program, but there you can afford it, because the program is short and with the jumps which Nathan does with a very high degree of reliability.

Questa dichiarazione è arrivata dopo il Mondiale 2019 vinto da Chen su Hanyu. Per lui le transitions sono un semplice ammiccare ai giudici? E nel programma corto le hanno quasi inserite perché lì se le possono permettere visto che a livello di salti è meno impegnativo?

Reset.

Nel 2010 Joseph Inman si era preso il disturbo di riportare a una sessantina di giudici le dichiarazioni di Evgeni Plushenko sul fatto che nei suoi programmi non ci fossero transition, e all’Olimpiade i voti in transitions di Plushenko erano scesi a dismisura, qui Aryutyunian fa una dichiarazione ancora più forte e i voti di Chen salgono? Sì, perché l’anno successivo i voti di Chen sono cresciuti ancora. Questo è l’andamento durante tutta la sua carriera da junior (stagione 2012-2013) in poi:

Nel grafico i numeri non si vedono ma nella tabella sì, i voti, prima quelli del programma corto, sono inseriti nell’ordine tradizionale dei protocolli di gara: skating skills, transitions, performance, choreography o composition, interpretation of the music. I numeri che saltuariamente compaiono accanto indicano nella prima colonna le eventuali cadute, nella seconda altri eventuali GOE negativi. Li ho inseriti come promemoria mio, per capire se Chen aveva eseguito un programma pulito o no. Questi invece sono i voti del programma libero al Campionato del mondo 2019:

In transitions Chen ha ottenuto il secondo voto più alto, dietro, e neppure di tanto, al solo Hanyu.

Avete presente George Orwell? All’inizio della Fattoria degli animali sul muro della fattoria vengono scritti sette comandamenti che enunciano chiaramente le regole da seguire nella fattoria. Alla fine del romanzo sul muro spicca un’unica, semplice, scritta: “Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni animali sono più uguali degli altri”. Le regole non valgono per tutti allo stesso modo, e in certi casi è consentito pure comportarsi in modo sleale pur di ottenere il risultato desiderato. La frase di Aryutyunian su Chen che ho citato poco fa era un po’ più lunga e iniziava così:

I think that you shouldn’t think about the rules, but do what you consider necessary. Rules are made to be broken. If you don’t break them, then you will be like everyone else. Why should I teach my athlete to be like everyone else?

Per lui dunque le regole vanno infrante. Non si deve trovare il modo di sfruttarle al meglio. No, le si deve infrangere. Evidentemente sa che, per quante regole possa non rispettare, la farà franca. I suoi allievi hanno voti alti in transitions pur senza avere transition, a Chen viene assegnato un livello 4, con GOE positivo, su una trottola che avrebbe dovuto essere annullata, perciò perché dovrebbe preoccuparsi di un dettaglio poco significativo come le regole?

Qualche giorno fa ho inserito il link a due articoli di M.G. Piety. Li riprendo ora: https://www.counterpunch.org/2014/02/13/yet-another-olympic-figure-skating-judging-scandal/ e https://www.counterpunch.org/2014/02/18/can-olympic-ice-skating-sink-any-lower/. Provate a sostituire i nomi di Meryl Davis/Charlie White con quello di Nathan Chen, i nomi di Tessa Virtue/Scott Moir con quello di Yuzuru Hanyu, e a sostituire il discorso sulla velocità con un discorso sui salti. La situazione è esattamente la stessa. La federazione americana sta spingendo Chen e il mondo del pattinaggio si sta adeguando ai desideri degli statunitensi. Kahneman ci spiega come i giudici possono essere tratti in inganno, e la storia del pattinaggio ci ricorda che molti errori non sono compiuti in buona fede ma sono veri e propri giochi politici. A Saitama sono state messe le basi per dire che Chen ha ormai superato Hanyu, a Torino alla fine del 2019 i giudici si sono adeguati alla narrativa dominante e hanno assegnato punteggi che a definirli fantasiosi gli si fa un complimento. E, non c’è dubbio, la narrativa proseguirà fino a Pechino 2022.

Chen ha saltato il Four Continents 2020 per scelta. Ha preferito rimanere a casa ad allenarsi e a studiare, con l’idea di chiudere la stagione al Campionato del mondo. Gli è andata male perché la gara è stata annullata. Tutti coloro che avrebbero dovuto parteciparvi sono stati danneggiati, non solo lui, anche se lui era senza dubbio uno dei due favoriti all’oro maschile. Nel momento in cui l’ISU ha pubblicato il nuovo World Standings, Chen si è ritrovato al quarto posto. La posizione è ridicola. Con quello che Chen ha vinto, vedergli davanti Alexander Samarin e Dmitri Aliev, due pattinatori che non lo hanno mai battuto (non a livello senior, a livello junior dovrei controllare e non ho voglia di farlo, tanto nessuno di loro è più junior da anni) fa uno strano effetto. Non parliamo poi del Season’s World Ranking, in cui Chen occupa addirittura solo il 15° posto. Sono classifiche assurde, lo sappiamo tutti. Hanyu è primo in entrambe le classifiche, anche se gli ultimi due confronti fra Chen e Hanyu (Campionato del mondo 2019, finale di Grand Prix 2019, prima o poi dovrò davvero parlare di queste due gare) sono stati vinti da Chen. Ne prendo atto, come prendo atto di parecchie cose. Sono contenta che Hanyu sia primo, non avrei voluto che risalisse al primo posto per via di una gara annullata, ma non vorrei nemmeno veder assegnare certi punteggi. Non dipende da me, ne prendo atto. Ma non mi metto a parlare del ranking internazionale per portare avanti il mio progetto di esaltare in modo acritico colui per cui tifo.

Il ranking internazionale non dice chi è più forte, dice chi ha fatto più punti in un determinato periodo, ed è ovvio che chi disputa più gare ha più possibilità di raccogliere punti. Quando vedo Philip Hersh, che ha un seguito notevole e che può influenzare l’opinione pubblica, parlare dell’ingiustizia contro il povero Chen, quello che vedo non è giornalismo ma propaganda. È propaganda perché sapevamo in anticipo che la classifica si fa a questo modo, e se anche non è colpa di Chen che non ha potuto difendere il suo titolo al Campionato del mondo, non è neppure colpa di qualcun altro. È andata così e basta, è stata sfortuna, certo non una congiura contro Chen. E se a Hersh non sembra giusto, non ricordo lamentele da parte sua quando Hanyu è stato scavalcato nel ranking da Chen non perché ha saltato volontariamente una gara, ma perché si è infortunato. Chen non ha disputato il Four Continents Chempionship per scelta, senza sapere che la stagione sarebbe finita lì, e per Hersh è stata un’ingiustizia. Hanyu ha saltato due finali di Grand Prix e un Campionato del mondo (e a un altro si è presentato non ancora guarito del tutto) e Hersh non dice una parola. Stesso trattamento, giusto?

E delle altre discipline ne vogliamo parlare? Nella stagione 2019-2020 la russa Alena Kostornaia ha vinto tutte le gare internazionali a cui ha partecipato, comprese la finale di Grand Prix e il Campionato europeo, ma in classifica è solo settima. Il secondo posto è occupato dalla statunitense Bradie Tennell, che ha come migliori risultati il bronzo al Four Continents Championship e l’argento a Skate America. In più ha un quarto posto a Skate Canada e un quinto posto alla finale di Grand Prix. E al Campionato del mondo 2019 (Kostornaia non aveva partecipato fra le senior perché era troppo giovane, e aveva saltato quello junior per infortunio) si è classificata settima. Perché Hersh non nota che anche la classifica femminine è assurda?

Nella danza Madison Hubbell/Zachary Donohue, bronzo al Campionato del mondo 2019, alla finale di Grand Prix 2019 e al Four Continents 2020, sono terzi. Madison Chock/Evan Bates, sesti al Campionato del mondo, secondi alla finale di Grand Prix e primi al Four Continents Championship, sono quinti. In compenso Gabriella Papadakis/Guillaume Cizeron, primi al Campionato del mondo e alla finale di Grand Prix e secondi al Campionato europeo, sono settimi. Nessuna di queste stranezze è stata menzionata da Hersh, perché spesso quello che lui fa non è giornalismo, e se qualcosa non serve alla sua agenda non ne parla.

Il ranking al momento è fisso, le gare vengono disputate a singhiozzo e con giudizi discutibili. Temo che per Pechino in almeno una disciplina il risultato sia già stato deciso, spero di sbagliarmi e che il risultato verrà stabilito in base a ciò che i pattinatori faranno in pista e non agli interessi economici di qualcuno. Certo l’impressione che si ricava guardando quello che è avvenuto in passato e quello che sta avvenendo ora non è incoraggiante.

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4 Responses to La ricerca di un campione: il pattinaggio statunitense

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